Prof. Domenico Crea
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Un’ incredibile “risorsa” calabrese: La “Manna”
Ho scoperto sol da poco questo articolo di quasi trent’anni, che riporto integralmente, nella convinzione che il “fenomeno” sia ancora sconosciuto a molti.
Ai tempi della “manna”.
L’aria, il sole, l’acqua, il mare ed il clima calabrese in generale, sono le credenziali che, ancora oggi, a dispetto dei tempi che corrono quasi ovunque, qualificano di più questo estremo lembo d’Italia.
Lo dimostrano, per l’appunto, le massicce presenze che ogni anno, durante i mesi estivi, prendono d’assalto tutti i centri costieri, nessuno escluso.
Ma perché questa «carta di credito», sulla quale si punta molto per lo sviluppo socio-economico che ne può derivare in tempi non certamente lunghi, possa spiegare i suoi benèfici effetti, occorre gestirla in maniera corretta, tale da non alterare le sue delicate ed irripetibili virtù che naturalmente possiede e che in tanti, oggi, ci invidiano.
Per esaltare maggiormente questo immenso patrimonio che madre natura ha voluto benignamente donare ai calabresi, ci viene in aiuto un antico scritto nel quale si evidenzia un «significativo fenomeno» che, appunto, conferma le «deliziose condizioni ambientali esistenti nell’area calabrese».
Il «fenomeno» (non è possibile altra definizione perché di fenomeno si tratta) riguarda una certa sostanza raccolta anticamente in precise zone della Calabria ed il cui consumo era piuttosto diffuso tra le popolazioni del luogo sotto forma di alimento e medicamento.
Per avvicinarci di più a questa eccezionale sostanza, in maniera tale da far comprendere le intrinseche virtù che possedeva, diremo che l’accostamento alla «manna» biblica non è per niente controverso, anzi ci sta tutto.
E’ «storicamente accertato che per un lungo periodo di tempo ebbe luogo in Calabria la raccolta della manna».
Ma veniamo al processo che in altri tempi ha reso possibile la «produzione» di questa «manna» visto che la stessa avveniva in maniera del tutto naturale e non per coltivazione agricola.
Il prodotto nasceva da un felice connubio di particolarissime condizioni atmosferiche: l’aria, l’acqua, la temperatura, le essenze ed i profumi si condensavano nell’atmosfera in presenza di precise condizioni di «tempi e di luoghi» e davano origine a questa sostanza, anticamente ricercata e prelibata, oggi completamente scomparsa. Un particolare luogo di «produzione» di questa «manna» veniva indicato nella Locride.
Alcuni storici, tra cui Scipione Mazzella, nel descrivere le attività della cittadina di Locri agli inizi del XVII secolo, menziona anche tra il lavoro dei locresi quello relativo alla raccolta della «delicatissima manna».
Stando sempre allo scritto del suddetto storico, la «manna» non era altro che una «certa rugiada, un liquore soave che casca durante la notte dal cielo adagiandosi sulle foglie e sopra i rami degli alberi, sull’erba, sulle pietre ed anche per terra.
Questa, condensandosi in un certo spazio di tempo, diventa granulosa a modo di gomma e questa propriamente viene chiamata manna di foglie.
E’ minuta, di granella trasparente, molto simile a piccoli granuli di mastice bianco, molto dolce e saporita al gusto».
Diverse le qualità di questa «manna»: la prima in senso assoluto era quel¬la che si posava sulle foglie, la seconda era quella che cadeva sui rami degli alberi, la terza – ovviamente di qualità più scadente delle prime due – era quella che si raccoglieva dal terreno e che assumeva, così, il colorito bruno-scuro.
La raccolta, effettuata dai contadini che ne conoscevano tutti i segreti e ne gustavano, più degli altri, la bontà, aveva un suo rito particolare: veniva effettuala di buon’ora prima del levar del sole al fine di non farla colpire dai raggi che altrimenti la facevano evaporare.
Nei periodi più propizi, cioè quando la caduta si preannunciava più abbondante del solito, i contadini usavano tagliare addirittura i rami degli alberi e depositarli nei fienili per poi raccoglierla durante le ore calde del giorno già indurita.
Solitamente, il fenomeno della «manna» si verificava durante le fresche notti d’estate, particolarmente dopo giornate secche e calde.
Il fenomeno, secondo alcuni studiosi dell’epoca, non è altro che il vapore della terra e dell’acqua, unito agli altri e svariati profumi di campagna, che si condensa durante le notti tresche. Sia il colore della manna, che va dal bianco al bruno-scuro, sia la forma, che va dai piccolissimi grani a quelli più consistenti, sono qualità che derivano dalle foglie sulle quali si posa durante le ore della notte.
Si sa che quel la che cadeva sulle foglie di fico era di colore oltremodo bianco e granulosa, mentre quella che cadeva sulle foglie di quercia era piuttosto liquida, di colore giallo chiaro e di sapore simile al miele.
La «manna», però, non si raccoglieva solo sulle foglie, sui rami degli alberi e sulle pietre.
In alcune zone veniva ricavata diretta¬mente da particolari alberi i quali trovano, ancora oggi, il loro habitat ideale nella bassa foresta della Sila.
L’albero, generalmente il frassino a foglie rotonde, si metteva in frutto verso i dieci-dodici anni e veniva sfruttato intensamente per almeno mezzo secolo.
La raccolta della «manna» da questi alberi avveni¬va a terra, sopra uno strato di foglie, in precedenza sistemato, e dopo avere inciso la corteccia in più punti. Da queste incisioni sgorgava lentamente un succo piuttosto vischioso che veniva raccolto dopo il suo indurimento.
Questa particolare operazione avveniva a distanza di almeno due giorni, dai primi di giugno ai primi di agosto di ogni anno. Il ricavato veniva poi attentamente selezionato nelle sue diverse qualità fino a quella più comune e grassa o, più propriamente, «manna dei poveri».
L’uso di questo prodotto della natura, secondo gli antichi scritti, avveniva in diverse occasioni. Era somministrato come «bevanda medicamentosa» alle donne in stato di gravidanza ed anche ai bambini.
Serviva anche come purgante ed addirittura nella lotta contro il colera, il male dell’epoca.
Era altresì usata nelle infezioni, nelle malattie del petto e della gola e nelle famiglie dei contadini, dove l’uso era abbondante, era considerata un vero e proprio toccasana. La sua conservazione non andava oltre l’anno e pertanto si rinnovavano le scorte ad ogni raccolto.
Leandro Alberti, nella sua «Descrittione di tutta Italia» del 1577, parla di questa «manna» che veniva raccolta nella città di Thuri (Sibarite) con gli stessi metodi e sistemi usati dai contadini della Locride.
Logicamente, essendo un fenomeno naturale, e quindi strettamente legato a certi fattori ambientali non sempre ripetibili, esso ha stimolato la fantasia dei contadini calabri che lo consideravano un miracolo voluto dal cielo, una particolare e santa benedizione del Padreterno nei confronti di pochi.
Oggi, di questa «manna», non se ne parla più, nemmeno a livello di antiche culture contadine che ancora, sporadicamente, sopravvivono nella Locride. Nei racconti dei vecchi contadini non ce n’è più traccia.
Eppure il miracolo della «manna» è esistito in Calabria, in questa Calabria che oggi, per la verità, ha bisogno di ben altra «manna» per sollevarsi dai vecchi e nuovi torti subiti.
Gianni Lupis
Da «Gazzetta del Sud». 30.07.1983