HUMANITAS ed IMMANIT AS
Oggi è difficile che si senta parlare di “humanitas” sulla stampa, nei dibattiti politico/culturali, in ogni luogo: c’è la consapevolezza che i popoli occidentali abbiano da tempo dimenticato, o comunque considerato obsoleti, quegli ideali di civiltà e di comprensione umana, che, per alcuni periodi della storia dell’occidente europeo, si riassumevano in quel termine. Il concetto si trova enunciato per la prima volta in un passo famoso di una commedia di Terenzio (II sec. a.C.) l‘Heautontimoroumenos, dove un personaggio di nome Cremete vede che nella vita di un altro personaggio, Menedemo, c’è qualche dispiacere, qualche motivo di preoccupazione e di sofferenza e alla protesta di Menedemo contro l’indebita ingerenza in affari altrui risponde richiamandosi al suo dovere e diritto di uomo che non si sente estraneo a nessun dolore del prossimo: “Sono un uomo e niente di ciò che riguarda l’uomo mi è estraneo”.
“Umano” e “umanità“, anche attraverso altri passi di Terenzio, assumono via via il significato di rispetto di sé e degli altri, di arricchimento e approfondimento di rapporti umani, di ammorbidimento di durezze proprie dell’antica romanità: una conquista di cui, grazie anche ai primi contatti con la raffinata e già evoluta civiltà greca, furono fautori in Roma gli Scipioni e la cerchia dei loro amici. Nell’età che arriva fino a Cicerone, cioè tra il II e il I sec. a.C., il significato ondeggia appunto tra civiltà e cortesia, cordialità, comprensione, forse anche clemenza.
Ma il più vero e grande teorizzatore del termine humanitas è senza dubbio Cicerone:per lui è un termine indicante riconoscimento e compatimento delle debolezze umane, clemenza, cortesia, gentilezza d’animo. Ma nelle opere più mature col vocabolo humanitas Cicerone intende anche educazione, ingegno, cultura, un significato dunque molto vasto e comprensivo di tutti quei valori che sono coinvolti nella formazione ed educazione globale dell’uomo, che è formazione politica, morale e intellettuale. E’ impossibile richiamare qui i vari passi da cui emergono i significati che stiamo evidenziando, del resto già puntualizzati da molti studiosi.
Vorrei, però, ricordare almeno l’orazione Pro Archia, dove la definizione e la consapevolezza del valore del termine in questione è ormai completa e pienamente matura, dove Cicerone parla di tutti gli aspetti, di tutte le sfumature di quel termine, per cui non a torto questa orazione è stata definita il primo vero manifesto dell’humanitas. Uno studioso tedesco, I.Heinemann, ci dà la più completa definizione e sintesi di humanitas, proponendone una distinzione in tre aspetti fondamentali.
Il primo aspetto, di natura sociale, è vicino al concetto greco di filantropia e si esprime nella mitezza, nella comprensione, nell’opera benefica di assistenza verso tutti i nostri simili. Il fondamento filosofico di questo aspetto va ricercato nella filosofia stoica, da cui derivano l’idea del cosmopolitismo e l’imperativo della giustizia. Ancor oggi ha un grande valore l’insegnamento di Cicerone, quando dichiara che “togliere qualcosa a qualcuno e accrescere le proprie comodità a danno di un altro è contro natura più della morte e del dolore, perché toglie il vincolo sociale che lega tra loro gli uomini”.
Il secondo aspetto, di natura culturale, identifica spesso humanitas con cultura, in quanto le arti liberali e le discipline scientifiche che formano l’uomo sono proprie di lui soltanto e lo distinguono dagli altri animali; il privilegio dell’uomo consiste nelle facoltà della “ratio” e dell’”oratio”, in quanto la ragione consente all’uomo di prevedere e dominare gli eventi, di modificare e migliorare le condizioni di vita. Non meno importante però è la parola, orale e scritta, che rende possibile la comunicazione del pensiero. Il terzo aspetto è quello estetico, per cui humanitas è anche la virtù propria dell’uomo cortese e raffinato, dotato di buona educazione e di elevati sentimenti, capace di vivere con dignità nella società degli uomini. L’insegnamento di Cicerone è, infatti, un’eterna lezione di umanità, intesa come libertà di pensiero, rispetto della personalità umana, comunanza di natura di tutti gli uomini. Per Seneca il verso di Terenzio costituiva addirittura la massima che deve guidare chiunque intenda comportarsi secondo le leggi della “umanità”: «sempre sia nel nostro cuore e sulle nostre labbra quel verso famoso: ‘Sono uomo, niente di umano ritengo mi sia estraneo’. Questo dobbiamo pensare: siamo nati nel vincolo di obblighi reciproci».
Quindi «humanitas, per Terenzio, significa anzitutto volontà di comprendere le ragioni dell’altro, di sentire la sua pena come pena di tutti: l’uomo non è più un nemico, un avversario da ingannare con mille ingegnose astuzie, ma un altro uomo da comprendere e aiutare.
L’attenzione a questa idea di “humanitas”derivò a Terenzio probabilmente dall’ambiente scipionico, nel quale appunto la riflessione sul concetto di humanitas trovò una prima elaborazione concettuale:al circolo degli Scipioni, infatti, era legato il filosofo Panezio che gettò le basi dell’umanesimo ciceroniano teorizzando il valore della collaborazione tra gli uomini come spinta del progresso sociale.
Questo verso, quindi, costituisce un elogio della comunicazione e della relazione fra uomini:Tu sei uomo, io sono uomo, e per questo voglio sapere di te, perché a prescindere dalle circostanze, ognuno prova un profondo interesse e rispetto verso l’altro. Questo concetto di humanitas (termine latino che incontriamo per la prima volta nelle opere di Cicerone, con il quale assumerà il significato più pieno di “rispetto dell’uomo in quanto tale”) circolava già nei testi di Plauto e, in modo più specifico, in quelli di Terenzio. Possiamo perciò concludere dicendo che Terenzio ha privato l’humanitas dell’alone di astrazione dal quale era avvolta e l’ha portata nella vita di tutti i giorni; inoltre gli altri autori latini e Terenzio hanno “personalizzato” il concetto di humanitas portandolo dalla cultura greca a quella latina e vi hanno inserito una forte esaltazione delle doti umane (per le quali si intendeva la capacità di essere in grado di saper costruire il proprio destino e di pensare anche al destino degli altri), nelle quali era riposta moltissima fiducia.
Ma nelle opere più mature col vocabolo humanitas Cicerone intende anche educazione, ingegno, cultura, un significato dunque molto vasto e comprensivo di tutti quei valori che sono coinvolti nella formazione ed educazione globale dell’uomo, che è formazione politica, morale e intellettuale.
Dopo Cicerone la parola humanitas venne usata per indicare il rispetto che si deve all’uomo in quanto tale, in virtù della comune origine della natura umana. Varianti di questa frase si ritrovano in molti autori: Erasmo da Rotterdam negli Adagia: Homo homini aut deus, aut lupus; Francesco Bacone che scrive :Iustitia debetur, quod homo homini sit Deus, non lupus Francisco de Vitoria (giurista spagnolo): Contra ius naturale est, ut homo hominem sine aliqua causa aversetur, non enim “homini homo lupus est”, ut ait Ovidius, sed homo; John Owen che afferma:Homo homini lupus, homo homini deus.
Dal punto di vista storico l’Umanesimo nacque in Italia, come movimento culturale, nel XV°/XVI° secolo, derivato dal latino Humanitas, che indicava l’insieme delle discipline atte a formare l’uomo integrale: solidarietà, tolleranza, indulgenza, fratellanza, certamente non egoismo.
Quindi in quei secoli, con la rinascita delle humane litterae, si torna ad emulare la cultura latina, dando però una nuova interpretazione della dignità dell’uomo, rivalutandone i valori “umani”, in contrapposizione a quelli quasi esclusivamente religiosi del Medioevo.
Affermavano,infatti, che si diventa veri uomini solo con lo studio dei classici antichi, ritenuti strumento di elevazione dell’uomo, che garantivano l’essenza della sua dimensione razionale.
Umanesimo perciò significava centralità dell’uomo, che vale più di qualsiasi altro essere dell’universo.
Ed oggi ci può essere ancora spazio per una nuova “humanitas”?
Dopo alcune aberranti ideologie del ‘900 , dominate dalla “Immanitas”, (egemonia, imperialismo, razzismo, genocidio, atomica) sembrava che dopo la seconda guerra mondiale l’uomo potesse recuperare un po’ di quella “humanitas”, ma l’illusione della risoluzione delle varie divergenze attraverso la guerra non ha mai smesso di attrarre Governi e popoli, e continua imperterrita anche in questo inizio del secolo XXI°, per cui ritengo che a breve non sia né probabile e né possibile.
Ancor oggi, attratti da un egoismo e dominio di conquista sempre più imperante, soprattutto dal punto di vista economico, le espressione “homo homini lupus”, ed “immanitas”(egoismo,furore distruttivo, ferocia, atrocità, crudeltà ), sono semz’altro attuali e ci vorrà una nuova rielaborazione dell’”humanitas” per evitare una probabile catastrofe totale.