Solidarietà : se ci sei batti un colpo!

Solidarietà : se ci sei batti un colpo! (Aprile 2009) Durante la Lotta di Liberazione i giovani impegnati, ed anche i non più giovani, speravano che, alla fine della guerra, l’avvento della democrazia mutasse radicalmente il vecchio assetto della vita, dopo il periodo oscuro del fascismo, con una società diversa, con nuovi valori e con una democrazia evidentemente non solo formale ma sostanziale. Pensavano una nuova società solidale ed armonizzata, dove l’individuo, pur li-bero ed autonomo, fosse parte di una collettività di eguali, rivolta al raggiungimento di rapporti umani elevati e non egoistici. Purtroppo, con i gravi problemi lasciati dalle miserie della guerra non tutto quello sperato si avverò:  sì la libertà di pensiero, di parola, di associazione, ma non la solidarietà umana, non la democrazia «sostanziale»! La società italiana è certamente migliorata negli ultimi decenni, ma in fondo in fondo rimane, ancor più al sud, quella di prima, con gli italiani più sudditi che cittadini e solo una minoranza conscia dei propri diritti. Il modello di una società veramente nuova è stato ben definito nella Costituzione Italiana e  due importanti articoli sono l’espressione di un tipo di vita nuovo: Art. 3 . «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lìngua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori del-l’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Art. 38 — «Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per sopravvivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza Sociale. Gli inabili ed i mi-norati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale». E’ soprattutto verso quest’ultima problematica che vorrei focalizzare oggi l’attenzione dei lettori. Nella nostra società manca ancora una vera cultura della solidarietà, per cui sono molto da apprezzare coloro che danno il loro contributo personale in vari modi con spirito volontaristico all’elevazione dell’umanità, e tra essi gli studiosi, i ricercatori, i politici sani, gli amministratori veri e soprattutto le varie Associazioni che sono l’humus da cui nascono le migliori iniziative; in particolare tra di esse l’A.N.M.I.C (Assoc. Nazionale Mutilati ed Invalidi Civili)l e l’A.N.F.F.A.S. (Assoc. Nazionale Famiglie Fanciulli e Adulti Subnormali), che tutela gli handicappati psichici, che in una società come la nostra sono quelli che si trovano in maggiori difficoltà. L’articolo 7 della la legge 5 febbraio 1992, n. 104 così recita: “La cura e la riabilitazione della persona handicappata si realizzano con programmi che prevedano prestazioni sanitarie e sociali integrate tra loro, che valorizzino le abilità di ogni persona handicappata e agiscano sulla globalità della situazione di handicap, coinvolgendo la famiglia e la comunità…”. Occorre quindi che anzitutto Comuni ed Asl facilitino la relazionalità e accrescano l’autonomia dei disabili. La persona handicappata non è certamente un elemento da cui prendere le distanze, un corpo da sottoporre ad adeguati lavori di ristrutturazione: è una persona che vive un’esistenza fatta di dolore, e questo dolore è proporzionale al fastidio, alla repulsione, all’indifferenza che chi soffre legge negli occhi degli altri. La persona handicappata ha bisogno non tanto o non soltanto di una “cura”, quanto anzitutto e soprattutto di “cure”, di affetto, di attenzioni. E’ indispensabile la nostra solidarietà verso chi è stato molto più sfortunato di noi! Quanta gioia si legge nei loro occhi nel momento in cui si sentono accettati, quando qualcuno solo per alcuni minuti riesce ad entrare in sintonia con loro! Ma è anche importante, a mio avviso, attenuare il sovraccarico fisico e psicologico dei familiari dei disabili, con l’attivazione di servizi  specifici ed efficienti, nonché un’attività di volontariato. Ciò è, a mio avviso, un indispensabile presupposto per ampliare il concetto di solidarietà nei confronti dei disabili, soprattutto al di fuori delle mura domestiche, indispensabile perché essi superino momenti  di  routine,  di  sconforto  e  di  ulteriore autoemarginazione. La curiosità per la novità che ogni ambiente diverso comporta rappresenta già un primo motivo d’interesse e di stimolo per i disabili. Il contatto e la conoscenza con persone nuove, disabili e non, favorisce la socialità, il modo di comunicare, il modo di confrontarsi continuamente con gli altri. Per poter dedicarsi con impegno in questa opera di rilevante importanza sociale occorre sviluppare una profonda coscienza critica ed una impegnata solidarietà. Lo sviluppo della coscienza critica ha un importante valore strumentale, per poter avvicinare ed impegnare il maggior numero di persone qualificate, i Servizi Sociali dei Comuni e l’ASL, e gruppi di volontariato che sappiano comprendere e realizzare quelle forme di assistenza e di intervento, che lo Stato e gli Enti Locali stessi sono ben lontani dal soddisfare o soddisfano in modo assolutamente inadeguato. Molte sono le pratiche possibilità per dare una mano ai cittadini meno fortunati: la visita a domicilio o nei luoghi di degenza, l’assistenza per esigenze personali, l’accompagnamento fuori casa per svago, l’espletamento di pratiche, il collegamento con i familiari, il sostegno psicologico, il sostegno alle famiglie. Questa è vera solidarietà, in una società sempre più egoistica ed individualistica. E secondo le più attuali e moderne concezioni occorrono anche scelte politico-amministrative di condivisione e comunità di vita con i settori più emarginati, tra i quali in primo luogo gli Handicappati psichici: centri diurni per portatori di Handicap, promozione di gruppi-appartamento o casefamiglia, cooperative integrate di solidarietà sociale, comunità di accoglienza (anche per il <dopo di noi>, comunità familiari di reinserimento, ecc.. Evidentemente tutte le possibilità di intervento devono assicurare la partecipa-zione degli Enti Locali preposti ai servizi socio-assistenziali, delle Associazioni e delle famiglie degli utenti in un vero spirito di collaborazione, e l’impegno comune di operare per una prospettiva di un cambiamento reale della società nel campo sociale ed assistenziale. Lo stato democratico è poca cosa se si ferma alla facciata: bisogna operare in profondità, bisogna far tacere gli egoismi senza pensare di ottenere vantaggi, ma ponendosi al solo servizio dell’umanità emarginata, altrimenti avremo dei servizi inefficienti per le categorie più deboli e servizi validi per le categorie più forti economicamente, capovolgendo i princìpi di una vera solidarietà. Il punto è questo: purtroppo molte opere ed azioni degli Amministratori locali sono fatte per ottenere voti, per avere preferenze, per ottenere posti di potere, per fare propaganda al proprio partito, senza però dare vere e valide soddisfazioni ai bisogni di chi «ha veramente bisogno»! Si cerca il potere e poi lo stesso non viene esercitato quando serve davvero; coloro che potrebbero fare molto(gli Amministratori pubblici) spesso si fermano a mezza via e non procedono oltre, disattendendo le leggittime aspettative di tutti gli uomini in buona fede. Può sembrare paradossale, ma la solidarietà si avverte più nelle città, grazie alle Associazioni, che nei paesi. È solo partendo dall’aiuto agli emarginati, dai loro bisogni, dalle loro umiliazioni, che potremmo trovare la giusta via per lavorare uniti per un nobile scopo di solidarietà e dare un volto veramente umano alla società, in qualunque posto si sia scelto di  vivere.

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