A PROPOSITO DI STORIA Quando si decide di scrivere di Storia, nella mente si affollano tante perplessità e domande che bloccano per un po’ l’iniziale entusiasmo dello scrittore in erba. Certamente non fanno perdere il sonno, ma esse sono a volte ricorrenti. Che cos’è un fatto storico? Secondo il concetto che la maggior parte delle persone ha della Storia, vi sono alcuni fatti fondamentali, identici per tutti gli storici, che formano, si può dire, la colonna vertebrale della Storia (per esempio, il fatto che la battaglia di Farsalo fu combattuta nel 48 a.c.). Questi presunti fatti fondamentali, accettati da tutti gli storici, costituiscono in verità la materia prima dello storico e non la Storia vera e propria. La seconda osservazione è che la scelta di questi fatti fondamentali dipende non già da una qualità intrinseca dei fatti stessi, ma da una decisione di parte. Si suol dire che i fatti parlano da soli: ma ciò è, ovviamente, falso. I fatti parlano soltanto quando lo storico li fa parlare: è lui a decidere quali fatti debbono essere presi in considerazione, in quale ordine e in quale contesto. Un personaggio di Pirandello, mi pare, dice che un fatto è come un sacco: non sta in piedi se non gli si mette qualcosa dentro. L’unico motivo per cui ci interessa sapere che nel 48 a.c. si combatté una battaglia a Farsalo è che gli storici lo considerano un avvenimento storicamente importante. È lo storico ad aver deciso che, dal suo punto di vista, il passaggio compiuto da Cesare di un fiumiciattolo come il Rubicone, è un fatto storico, mentre il passaggio del Rubicone compiuto prima o dopo di allora da milioni di altri individui è trascurabile. Lo storico è spesso costretto a scegliere. Credere in un duro nocciolo di fatti storici esistenti oggettivamente e indipendentemente dallo storico che li interpreta, è un insensato errore, che tuttavia è ancora molto diffuso. Nei libri di Storia troviamo asserzioni di genere diverso: descrizioni e spiegazioni di fatti, interpretazioni ideologiche dei medesimi, valutazioni di eventi, istituzioni e figure umane, ammonimenti, e così via. Senza andare troppo per le lunghe, c’è in ogni caso subito da affermare che la pretesa di ogni serio storico – che non voglia raccontarci dei suoi -odii- e dei suoi -amori- – è quella di narrarci solo come andarono certi eventi. Fu già questa la pretesa di Erodoto, il padre della Storia. E a siffatta pretesa degli storici fa riscontro l’attesa di chi legge o studia un libro di Storia: costui vuole imparare, desidera sapere dei fatti del passato. Ma il lettore deve anche imparare a -leggere- la Storia, a discernere le scelte dello scrittore, per decidere se condividerle o meno. I problemi cui la metodologia della storiografia tenta di dar risposta è costituita da interrogativi come questi: 1) che cos’è un -fatto storico-, che cos’è, cioè, che ha il potere di strappare dal limbo degli infiniti fatti del passato un -fatto qualsiasi- per farlo diventare un -fatto storico-, un fatto -importante- (ma importante in base a che cosa?)? 2) le affermazioni degli storici sono scientifiche o no?; 3) le argomentazioni degli storici sono oggettive?, possono essere oggettive? oppure sono sempre viziate (e nella scelta dei problemi da trattare e nella scelta della prospettiva con cui trattarli e nel modo di sostenere il discorso) dall’ideologia?; 4) qual è, dunque, la relazione tra -oggettività- e -ideologia- nei libri di Storia?; 5) possiamo distinguere (e con quale criterio, se mai) una spiegazione storica scientifica da una interpretazione storica ideologica? A questi — ed altri — interrogativi ad essi legati cerca appunto di rispondere la metodologia della storiografia, vale a dire quel complesso di analisi sulle procedure della ricerca storica. I fatti della Storia — come affermava F. Chabod — devono essere sempre penetrati da -un incessante lavorio della mente e della coscienza-. Non c’è da meravigliarsi, dunque, se è dura a morire una concezione della storia da tempo legata ai sistemi filosofici dell’ Ottocento (al romanticismo come al marxismo o al positivismo), che immaginava uno sviluppo lineare del corso della Storia secondo leggi di progresso verso istituzioni più giuste e società vicine alla perfezione, che invece proprio la Storia ha mostrato come utopistici, velleitari, o comunque in ogni caso ancora lontani dalla realizzazione. Forse erano concezioni del mondo fondate sui desiderata degli uomini, anziché su un’analisi veramente scientifica o disincantata. Certo che la delusione che ne è seguita ha trascinato con sé anni di crisi, di eclisse dei valori tradizionali, rischiando di allontanare sempre di più i giovani dall’amore per la ricerca e la lettura. Perciò non ci si stupisce se le nuove generazioni tendano oggi, dopo il disincanto e le cocenti delusioni del post-’68, ad avvicinarsi ai valori di Schopenhauer, Heidegger, Nietzsche, cioè a quei pensatori che negano una concezione progressiva della Storia o addirittura negano la Storia medesima, anziché continuare a studiare Hegel, Marx o lo stesso Croce. Ma se non c’è più da credere ciecamente alla -historia magistra vitae-, è difficile rinunciare a pensare ad una Storia che, pur procedendo per linee complesse e percorsi accidentati, è ancora decifrabile; dunque in grado di cogliere l’ebbrezza e l’essenza della vita e di analizzare le vicende passate per migliorare il presente. Scrivere di Storia, allora, è essenzialmente rappresentazione critica dei fatti storici, tra particolare e generale, oggettivo e soggettivo. L’obiettività storica, in questo modo, diventa dialogo continuo tra presente e passato, interrogazione permanente sul futuro. Chi pensa storicamente non fa altro che agire socialmente e politicamente. La funzione dello storico non consiste né nell’amare il passato né nel liberarsi del passato, bensì nel rendersene padrone e nel comprenderlo, per giungere così più facilmente alla comprensione del presente. L’esigenza e il rigore scientifico devono mirare a depurare i fatti da tutto ciò che li deforma e li occulta; perché i fatti della Storia sono fluttuanti come il corso della Storia e vengono percepiti differentemente secondo il tempo e il luogo, e recepiti diversamente secondo l’appartenenza di classe o la scelta ideologica. Come si può arguire , non è per nulla semplice scrivere di Storia e capire veramente la Storia! Milano, Maggio 2009
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