Presentazione di “1990 e oltre", Poesie di Enrica Marelli

MORMANNO 14/8/1992 – Sala Consiliare Quando Enrica Marelli mi ha chiesto di presentare qui a Mormanno questa sua plaquette, ho provato inizialmente piacere per l’onore che mi veniva concesso, ma anche un certo timore, perché altri meglio di me avrebbero potuto farlo,altri probabilmente meglio di me lo hanno già fatto in occasione della prima presentazione a Sanremo. Ma l’occasione di stimolare un dibattito culturale,evento più unico che raro qui a Mormanno,che pure un tempo veniva chiamata l’Atene della Calabria, e pur in assenza di veri specialisti ed esperti di poesia (ma forse proprio per questo il nostro incontro risulterà più autentico e spontaneo) era opportunità troppo ghiotta per lasciarla sfuggire. E le numerose qualificate presenze qui oggi confermano che la scelta è stata opportuna, se si considera che il tempo libero, il più ampio spazio recuperato nella società contemporanea per noi stessi, si è ridotto paradossalmente ai minimi termini, riempito com’é di ore televisive,di code anche per brevi viaggi, a lunghe attese agli sportelli di uffici pubblici o dal parrucchiere o per shopping. Lo spazio di un tempo dedicato alla lettura,alla riflessione,al dialogo si è frantumato. Chi legge e soprattutto chi legge poesia è sempre più un soggetto raro, in privato come a scuola, soggiogati come siamo dalla civiltà dell’immagine e dai processi mediali (informatica.telematica ecc.). Però proprio ultimamente, nel momento in cui il ruolo della cultura umanistica e dei suoi esponenti sembrava arrendersi a tutto questo, si è affacciata alla ribalta di questo fine secolo un nuovo orientamento,caratterizzato da un prefisse che, dopo il”post” degli anni ottanta sembra indicare nuove strade da percorrere, che forse sono antiche: questo prefisso ultimo è il “de” :de-costruzione, de-secolarizzazione, de-strutturazione, deindustrializzazione, de-regulation, de-materializzazione. Ma “de” in che senso? Come” trarre da”,”far scaturire”,oppure è da intendere come prefisso negante ed escludente? Non siamo ora in grado di rispondere con certezza, siamo solo ai primi tentativi ,a semplici intuizioni che non sempre vanno in una direzione prevedibile,come la terra all’orizzonte di quell’America che Colombo avvistò cinque secoli fa,scambiandola per le Indie occidentali, realizzando un’idea più per la somma di coraggio e di probabilità che per la bontà dell’ispirazione progettuale. Nella società post industriale il ruolo dell’intellettuale è mutato nel giro di pochi decenni,e la sua capacità di intervento si è notevolmente ridotta sia nella scuola che nei mass-media,dove il peso di una cultura umanistica è stato limitato sempre più’. Eppure la dissoluzione non è stata totale:dissacratoria,svalutativa e per molti aspetti irridente,senza dubbio;ma l’era tecnologica non è riuscita ad annullare gli insopprimibili bisogni del fantastico,dell’immaginario collettivo,della introspezione. L’uomo ha narrato, nel corso dei millenni,di sè e dei propri sogni,ha guardato dentro di sé e all’interno delle cose,talvolta ha smarrito la propria coscienza e l’ha recuperata, spesso grazie agli intellettuali. Ad ogni nuova fase epocale è giunto spesso col sentimento di chi crede di aver smarrito la propria identità,il proprio ruolo; ma l’intellettuale mai ha abdicato alla sua preminente funzione di scandaglio,di filtro,di osservatore del mondo nell’impatto che ogni conoscenza produce. L’attuale impossibilità di un modello (ma dal decadentismo in poi quando ciò si è verificato?) spinge oggi i poeti, che per la loro acuta sensibilità avvertono prima di altri il disagio esistenziale,a guardarsi indietro per trarre alimento dalle radici della propria cultura e del proprio vissuto ed essi,se non si tratta di effimere avanguardie,sono capaci di intuire,come Colombo,nuove mete. Certo nella società del 900, se si esclude la parentesi Dannunziana e del neo-realismo,il ruolo dell’intellettuale,del poeta,è stato sempre più difficile da definire. Proprio questa tematica è stata quest’anno oggetto dei temi di maturità: Perché si ascrive poesia? Chi è il poeta? Agli inizi del nostro secolo queste domande furono variamente formulate in Italia:
Perché tu mi dici: poeta? Io non sono un poeta. Io non sono che un piccolo fanciullo che piange. (Sergio CORAZZINI, 1906) Infine, io ho pienamente ragione, i tempi sono cambiati, gli uomini non domandano più nulla dai poeti: e lasciatemi divertire ! (Aldo PALAZZESCHI, 1910) Aver qualche cosa da dire nel mondo a se stessi,alla gente! Che cosa? Io non so veramente perché…non ho nulla da dire. (Marino MORETTI,1911)
Se a ciò aggiungiamo la quartina finale della lirica di Montale: “Non chiederci la parola”:non domandarci la formula che mondi possa aprirti,si qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti,ciò che non siamo,ciò che non vogliamo” ci appare in tutta la sua drammaticità la condizione del poeta moderno,antivate, anti-veggente,che non sa dare luce di certezza,che non sa definirsi: ed affida unicamente ad esclusioni (ciò che non siamo,ciò che non vogliamo) la dichiarazione di una condizione intellettuale, ma anche di una scelta esistenziale propria di chi preferisce l’ammissione di una crisi del sapere e del conoscere alle false conoscenze. Incomunicabilità,smarrimento,angoscia,solitudine: temi ancor oggi attualissimi che determinano una sempre più continua introspezione, un dialogo con il proprio io. La poesia della Marelli, in linea con le ultime timide tendenze, trae motivi ed ispirazioni dall’idea stessa di “specchio di vita”, che la Poesia ha fornito per molti secoli, ed agli attacchi invadenti e totalizzanti dei “media” ed agli artifici dello sperimentalismo oppone il recupero, nel filone nazionale, del rapporto tra il mito e la storia, le aspirazioni dell’uomo e la fatica dell’esistere, di ciò che la società tecnologica ha ricacciato ai margini,con una più cosciente affermazione della individualità, in tempi di squallida massificazione. Di fronte al caos dell’età contemporanea, vi sono alcuni che, nella caduta repentina di ogni valore, cercano soluzioni diverse, quasi controcorrente, nel tentativo di diluire nel ricordo le tensioni e le fratture che minano il vivere quotidiano, una ricerca del ricordo, anche se doloroso,del vissuto, come matrice, forse, di conoscenza soggettiva; ed infine il vagheggiamento ,il sogno,come proiezione del proprie io sospeso nell’immensità. E questi temi sono presenti anche nelle poesie di Enrica, con echi e suggestioni che evocano nella mia mente tematiche riconducibili a Montale,a Saba.a Penna a Pavese. Anche la mia, ovviamente, é una interpretazione soggettiva e quindi non valida per tutti. Ognuno,a seconda della propria sensibilità, cultura, stato d’animo, potrà scorgervi temi diversi. Io ne ho individuati alcuni che mi permetto offrire alla vostra riflessione sperando di non abusare troppo della vostra pazienza. II senso della incomunicabilità e della solitudine sono evidenti nelle liriche”Dopo” e “Non dire”, laddove la carica positiva del desiderio e dell’affetto si dissolvono già nell’amarezza della sconfitta del rapporto e nell’inevitabile distacco. In”Ragnatela”,Analfabeta”,”Foglie gialle”, questa incapacità di costruire saldi legami evidenzia tutta la fatica del vivere,del tessere una ragnatela sempre squarciata e di nuovo,caparbiamente, ricostruita. Smarrimento ed angoscia per quell’attimo in cui la nostra esistenza avrà fine diventano sempre più forti,passando attraverso,”Stanchezza”, in cui c’è la speranza di una agognata serenità (“un leggero sciogliersi di trame),poi ancora “Paura” dove l’angoscia diventa più forte e “Attesa” dove l’ineluttabilità dell’evento viene espressa in un lucido, drammatico crescendo. Il ritorno alle radici si può riscontrare nella sezione “Paese mio” ,dove i ricordi autobiografici, lieti e dolorosi,sono fusi all’interno di un paesaggio sempre positivo, che assume forme a volte concrete a volte sfumate,di colori,di luci,di fiori,di alberi, di nebbia comunque compiacente. II ricordo, infatti, fluttua, non ha agganci definiti con il tempo, solleva immagini che durano nell’aria per il tratto che la memoria visiva ad esse riserva. Qui soprattutto c’è calore e freschezza ,c’é dolore e spontaneità, ed in esse la poesia trova alimento e contenuto. Nella sezione dedicata alla Calabria ho rilevato una dicotomia,forse inconscia: il paesaggio è sempre visto con entusiasmo,con pregevole descrizione di cromatiche sfumature; persino le rovine evocano ricordi di passato splendore, di grandi civiltà. Gli uomini e le donne sono invece colti nella loro primigenia ferinità, rei di aver dimenticato un glorioso passato come in “Marasà”(ma la colonna è tronca,morto l’ulivo ed orba di sacrifizi è l’ara”) laddove appunto c’è il rimpianto per la grande tradizione culturale della nostra Calabria oggi negletta, speriamo non del tutto dimenticata. Questa dimostrazione di grande sensibilità e di sincero affetto di Enrica per la Calabria deve farcela sentire sempre più vicina, una di noi. Anche il sentimento amoroso e la passione sono ricantati con un certo distacco ,come lontani attimi fuggenti che si intuisce abbiano scalfito con brevi segni di gioia e dolore il cuore ,senza mai riuscire a spezzare la volontà di vivere. Nelle poesie della Marelli, la vita, quella che ancora si avverte sulla propria pelle, è attraversata in tutta l’ampiezza del suo repertorio; essa per essere intesa sino in fondo richiede un sentimento di partecipazione,perché la poesia di Enrica sorge dalla natura e dalla storia del vissuto di lei ,che l’ha prodotta. Si potrà comprendere così la progressiva maturazione del suo sentire,il raggiungimento di una consapevole serenità nell’accettazione di eventi,per dolorosi che siano, al di là dei consueti parametri di bene e di male,di buono e di cattivo. C’é in lei,per citare Calvino, l’insostenibile leggerezza dell’essere che si trasforma in amara constatazione dell’ineluttabile pesantezza del vivere. Dalla fedeltà alla propria interiorità scaturiscono i temi di questa poesia; la capacità di donare senza chiedere, la malinconia amorosa, il tedio che spesso ci assale, la nostalgia dell’infanzia, l’antica brama della passione, il desiderio di evasione. E l’adesione alla vita comporta una poesia aperta, che rifiuta il frammento isolato, per cui ci appare di sapore antico, con una misura ritmica che, in tempi di sperimentalismo esasperato e di rivolta contro l’endecasillabo classico, contro la rima, contro la sintassi, ci sorprende piacevolmente e ci cattura. La parola ripercorre con semplicita e purezza ogni tratto e, lontano dalle ricerche formali, della realtà sa cogliere i segni lirici, penetrando nelle pieghe della nostra corazza di uomini modermi, ricordandoci che siamo comunque uomini. Nel momento in cui stiamo per tuffarci con un balzo nel terzo millennio,con tutte le incognite che tutto ciò comporta per la nostaa dimensione umana,la poesia di Enrica ci invita ad una pausa di riflessione ,a considerare che certi valori ,certi sentimenti, certi echi culturali non hanno dimensione temporale , e che è solo l’uomo che può dimenticarli o coltivarli per affidarli alle generazioni future.

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