La mia sera
METRO: strofe di sette novenari seguiti da un senario a rime alterne (ABABCDCd); il senario termina con la parola sera, e pertanto la rima Dd è costante. Due versi, il l9 e il 34. sono ipermetri, cioè con una sillaba in più, dopo la rima, che si ricollega al verso seguente.
Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c’è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
che pace, la sera!
Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle, singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell’aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell’umida sera.
È, quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d’oro.
O stanco dolore, riposa!
La nube del giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell’ultima sera”.
Che voli di rondini intorno!
Che gridi nell’aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l’ebbero intera.
Né io”… e che voli, che gridi,
mia limpida sera!
Don..Don..E mi dicono,Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano, Dormi! bisbigliano, Dormi!
là voci di tenebra azzurra…
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch’io torni com’era… sentivo mia madre… poi nulla…
sul far della sera.
Tutta la poesia è costruita sulla contrapposizione del giorno tempestoso e della sera tranquilla, talora con artifici un po’ retorici.
Il futuro immaginato(verranno le stelle) riconduce alla coscienza della ciclicità delle cose, in quanto in Pascoli le certezze sono solo quelle scandite dalla natura e dal ripetersi dei suoi eventi.
Vi sono richiami ad altre poesie pascoliane, soprattutto a X Agosto, dove ritroviamo le tematiche ossessive del poeta: il nido,il ritorno al suo tepore rassicurante, il rituale della cena e del cibo.
Né io…: il poeta prende consapevolezza di aver poco goduto dei piaceri della vita, di aver vissuto senza entusiasmo e senza fortuna; ora la maturità sembra donargli momenti di dolcezza e di serenità, allontanandolo dal dolore e dalle passioni.
Le campane sono un altro elemento tematico assai ricorrente nella poesia pascoliana; la loro voce densa di risonanze e di suggestioni invia al poeta messaggi irrazionali che vengono dall’alto e dal profondo.
Qui il loro suono, indicato con la parola Dormi, si ripete ritmico e ossessivo con funzione quasi ipnotica, fino all’annullamento della coscienza in un processo di regressione all’infanzia (sembrano canti di culla), alla madre (sentivo mia madre), fino al nulla indistinto che precede la nascita e che segue la morte (poi nulla..).
Ancora una volta principio e fine coincidono nel ciclo perenne dell’esistenza.
Si noti anche la regressione dicono, cantano, sussurrano, bisbigliano , che sottolinea il progressivo dissolversi della coscienza.
Dopo la tempesta che ha sconvolto la giornata, Pascoli trova nella sera consolazione e ristoro: dopo le pene e le privazioni che ha dovuto sopportare durante la sua vita, crede di aver trovato finalmente un po’ di pace e di riposo.
La lettura di questa poesia ci porta alla memoria due notissimi precedenti letterari: il rapporto con Alla sera di Foscolo è sottolineato anche dal titolo, mentre quello con L’Infinito di Leopardi si attua, come vedremo, più per contrasto che per analogia.
Anche per Foscolo la sera portava con sé, per la durata di un attimo, l’annullamento della coscienza.
Ma tale annullamento si fondava su profonde riflessioni filosofiche: nell’eterno fluire di tutte le cose anche le cure e il reo tempo si annegavano, permettendo al poeta, per un attimo, la contemplazione del nulla in cui egli stesso poteva immergersi: alla coscienza del dolore e della tempesta della vita subentrava la coscienza dell’eterno fluire di tutte le cose. Poi, come d’improvviso, il foscoliano spirto guerrier tornava a ruggire, ad inseguire le illusioni feconde, a calarle nella storia.
Per Pascoli invece la tempesta della vita si identifica quasi sempre con i lutti familiari e con i problemi economici (La fame del povero giorno / prolunga la garrula cena).
Il tema del dolore perde qualsiasi significato drammatico, ma si riduce a dimensioni personali, soggettive, tant’è che la presenza nel titolo dell’aggettivo possessivo, ci comunica già la dimensione “privata” della tematica pascoliana.
Rispetto a L’infinito di Leopardi la prospettiva è addirittura capovolta: l’uno traeva dalla finitezza delle cose lo slancio per aspirare all’infinito ed immergervisi, Pascoli invece fugge dall’ infinita tempesta dell’universo verso la rassicurante finitezza delle cose (È quella infinita tempesta / finita in un rivo canoro).
Di fronte al tetro nulla di Foscolo e all’ansia di infinito di Leopardi, Pascoli tende a rinchiudersi sempre più nella contemplazione, sovente con espressioni onomatopeiche, delle cose sensibili, vicine e concrete, per rivolgersi indietro, verso l’infanzia, verso il ventre materno, il tiepido nulla che precede ogni cosa.
Mi piace qui riportare una straordinaria sintesi di un grande critico letterario che, molto meglio di me, commenta questa poesia.
« Ogni strofa, […] è come una variazione musicale del medesimo tema. Un gre gre di ranelle, le foglie dei pioppi, il singhiozzo monotono di un rivo canoro, le rondini, le stelle, le nuvole, le campane, tutte queste note cospirano insieme a formare uno stato d’animo di assopimento del dolore, quasi di una persuasa e confidente attesa della morte; e tutte si riassumono nel suono finale delle campane, che si diffonde nell’aria della sera col suo ritmo cullante, ed è un suono che via via si fa sempre più immateriale, […] si interiorizza, diventa il ricordo di un canto di culla, e riconduce il poeta all’antica puerizia: quest’ultima serena felicità è simile alla prima, a quella che era allietata dalla carezza materna. […]il poeta ha rappresentato il transito, un transito sereno, dalle bufere del giorno e della vita alla pace della sera e della morte ». (G. Trombatore: Noterelle pascoliane)