Conferenza per la festa dell'Emigrante (Con poesie)

13 Agosto 2005 Un caloroso saluto alle Autorità ed agli intervenuti. Possiamo dividere l’emigrazione italiana in due periodi: I periodo : dal 1870 al 1914, durante il quale emigrarono circa 8 milioni di persone. II periodo : dal 1914 al 1970, durante il quale emigrarono circa 19 milioni di persone. Emigravano soprattutto uomini e ragazzi oltre i 16 anni, che erano analfabeti, appartenenti a classi sociali povere, contadini, braccianti, operai comuni, piccoli artigiani ecc. Dal Sud Italia per la povertà e per la impossibilità di trovare un decente lavoro nella propria terra si partiva verso il triangolo industriale e l’Europa (Francia, Germania, Svizzera) e verso l’America (Brasile, U.S.A. e Argentina), considerata da tutti terra di grande possibilità. Questa emigrazione di massa apportò all’Italia dei vantaggi : 1. Diffusione della cultura italiana, usi e costumi 2. Rimessa di denaro alle famiglie in Italia. 3. Possibilità di trovare lavoro e fortuna. Ma anche notevoli e significativi svantaggi : 1. Partenza di forze attive. 2. Abbandono e conseguente decadenza dei lavori tradizionali (agricoltura, pastorizia, artigianato). 3. Lunghe separazioni dalla famiglia. Oggi oltre 60 milioni di persone di origine italiana vivono in paesi extra europei o Europei. Sembra difficile da credere, ma oggi il numero di italiani all’estero supera quindi quello della popolazione italiana stessa. Alcuni dicono che l’emigrazione ebbe aspetti positivi perchè gli italiani che erano in America, mandavano soldi ai parenti offrendo loro più possibilità di migliorare le condizioni di vita. Ma non fu così ! Invece l’emigrazione fu un grosso svantaggio perché il Sud perdeva le persone giovani, cioè le forze attive; Infatti i nostri compaesani emigrati hanno affrontato la vita di petto, senza aspettarsi niente da nessuno, e questo, a mio avviso, è un grande valore. I nostri mormannesi, dopo la guerra, non avendo lavoro per vivere, sono emigrati in maniera dignitosa. Si pensa spesso agli emigranti come fossero gli elementi peggiori di una terra, mentre sono stati i più intraprendenti, i più attivi; emigrarono perché non sopportavano una vita di stenti, perché non accettavano la rassegnazione, e quindi nella loro vita hanno lottato, affrontando l’ignoto. Il dramma degli emigranti non è il fatto di vivere fuori, ma il fatto di essere stati costretti ad andare fuori per colpa di una classe politica, soprattutto meridionale, incapace di programmare un serio sviluppo. Mi permetto di leggere una mia composizione in merito intitolata Fratello migrante Sovente mi torni alla mente negli occhi nel cuore fratello migrante, uomo della mia terra – della corriera il richiamo ci lacerava le viscere, lì, nella piazza – dalle fiumare e dall’ingrato aratro sul volto riarso solchi scavati, e i foschi occhi smarriti sul bruno volto della tua donna avidi erranti, sui tuoi pargoli incoscienti, su noi che restavamo con l’amaro in bocca. Non piangere, fratello migrante, uomo della mia Terra: forse non tutti t’hanno dimenticato! Oggi può essere una buona occasione per riflettere sulla nostra comunità di Mormanno, calabrese e meridionale più in generale, emigrata da più o meno tempo ed oggi qui pronta a parlare di questa positiva e negativa esperienza, che ci vede presenti in tutta l’Europa, nonchè in America. L’emigrazione ci ha pesantemente depauperato. Ciononostante, anche a distanza di generazioni, il legame con la terra e gli affetti domestici sono rimasti integri e forti. La gente è partita col dolore del distacco e la speranza di un problematico ritorno. I nostri muratori, i falegnami e i fabbri, superate le pene e le umiliazioni, hanno imposto con tenacia la loro arte e il loro savoir-faire: molti sono diventati piccoli e medi imprenditori, ed hanno tenuto alto il nome di Mormanno nel nord d’Italia ed all’estero. Purtroppo il fenomeno migratorio continua ancor oggi, ma stranamente si osserva ormai con distacco e poco se ne parla, come se fosse un evento del passato, come se il nuovo assetto economico-sociale, sbandierato negli ultimi anni, avesse cancellato il vecchio bisogno di cercare fortuna fuori di casa. Ma le cose, in realtà, non stanno in questi termini, anche se oggi, ripeto, all’opinione comune, soprattutto dei giovani, l’emigrazione pare simile a una leggenda. I dati e soprattutto l’occhio indicano uno spopolamento, l’esodo, la fuga quasi di massa soprattutto dei giovani. Eppure la nostra comunità ha il vantaggio delle dimensioni: è piccola, civile, antica. Ha radici profonde. Ha il privilegio di una tradizione colta e di una notevole imprenditoria ( penso alle Società elettriche, all’industria boschiva e del legname, al ginestrificio, alla miniera di manganese, al Pastificio, al biscottificio, alla Spagnoli, alla pasticceria Silvana, ai Salumifici, etc.. ) Ciononostante, ancor più nel terzo millennio si deve partire per trovare, altrove, lavoro. Ed oggi a non far più ritorno sono quasi tutti i giovani mormannesi laureati ed a partire, o restare qui a strusciare il corso, sono anche molti giovani diplomati. Ad un tumultuoso sviluppo della scolarizzazione non ha fatto seguito una crescita, neppur mediocre, di un tessuto industriale o artigianale o del turismo, in sintesi dell’economia, ancora basata soprattutto sul terziario e su rendite improduttive. Ci sono soluzioni a breve o medio termine? Forse ben poche! Speriamo che anche da questo incontro possa emergere qualche utile indicazione. Bentornati oggi a casa, figli di Mormanno. Per la Festa dell’Emigrante – 17 Agosto 2007 Nel cuore di tutti noi Mormanno mio, ingrato e mai odiato, (come potrei, se sempre io t’ ho amato !) questo tuo figlio ormai stanco ritorna per rivedere i luoghi dell’infanzia, del vicinanzo la viuzza angusta, la voce di mia madre che riecheggia. Mormanno mio, ingrato e mai scordato, (come potrei, se sempre ti ho pensato ?) già con le gambe livide dal gelo, e la buffetta con lo scarso cibo, le toppe bicolori ai pantaloni, vuote le tasche e solo pochi sogni di quella prima età non ho rimpianti Mormanno mio, ingrato e abbandonato, (quel giorno lo ricordo come ieri !) già gente nuova che comanda e dice strane parole, ma almeno si lavora e di nuovi sapori apprezzo il gusto e piano piano mi riscopro grande. Mormanno mio, ingrato e sempre amato, (quanti palpiti al suono del tuo nome !) il cuore nella piazza o al cimitero, o della Chiesa grande i riti sacri o del maiale l’urlo per la casa, e di parenti e amici i dolci volti fissi negli occhi stanchi e nelle mie preghiere a tarda sera. Mormanno mio, ingrato ed adorato, lo struscio lungo il corso, e la fagòna, la soppressata e i trènari di Pasqua, la statua dell’Assunta, e di San Rocco le cinte in processione e là, sul pezzo, la frutta di Laino e d’Orsomarso. Mormanno mio, ingrato e sospirato, nella mia vita molto sei mancato, del Padovano le campane a festa, di za Rusina chiacchiere e polpette odore di soffritto e peperoni, scambi d’assaggi tra case vicine e dei miei cari baci ed abbracci che portai nel cuore. Mormanno mio, di nuovo son tornato, e ti trovo comunque un po’ cambiato, parenti e amici ogni volta di meno, ma come tutti, uscito dal tuo seno, dovendo poi lasciarti ad ogni rientro un gran senso di vuoto avverto dentro, e già sul prossimo ritorno mi concentro.

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