Pascoli: Il gelsomino notturno

Il gelsomino notturno – di Giovanni PASCOLI
Ho sempre inserito questa poesia nei miei programmi scolastici, in quanto racchiude tanti interessanti elementi della tematica di questo grande Poeta, a me caro, ed oggi la ripropongo ai miei cortesi ed affezionati lettori.
Tecnica compositiva
La poesia presenta una rima alternata (AB/ AB); il verso 23 interrompe lo schema e non rima con nessun altro verso. La poesia è composta da sei quartine di novenari.
La lirica è caratterizzata per lo più da periodi brevi, all’interno dei quali sono presenti molti enjambements : tra i versi 3 e 4, 9 e 10, 13 e 14, 15 e 16, 17 e 18, 21 e 22.
La brevità dei periodi spezza il ritmo narrativo, mentre gli enjambements lo rendono irregolare.
Le figure retoriche sono numerose: in particolare sono presenti delle personificazioni (vv 6, 13, 19), una similitudine (v 8), una metonimia (v 4), due sinestesie (vv 10, 16), metafore (vv 13, 21, 23
La sinestesia più evidente è sicuramente quella del verso 10, “ l’odore di fragole rosse”, nella quale una sensazione olfattiva (l’odore) viene unita ad una sensazione visiva (il colore delle fragole), mentre nell’altra (verso 16, “pigolio di stelle”) , una sensazione visiva ( il brillare delle stelle, spesso intermittente) viene unita ad una sensazione auditiva (il pigolio dei pulcini).
Personificazioni:
Là sola una casa bisbiglia.
Un’ape tardiva sussurra
Passa il lume su per la scala;
Metafore:
Un’ape tardiva sussurra (rappresenta il poeta escluso dall’attività amorosa di quella casa)
Si chiudono i petali un poco gualciti ( la lacerazione dell’imene)
Dentro l’urna molle e segreta (l’utero appena fecondato)
Nei primi due versi di ogni strofa sono presenti le metafore più significative di questa poesia, mentre nel resto di ogni strofa sono rappresentati i sentimenti dell’autore; inoltre nei primi due versi sono presenti, di norma, degli enjambements.
Guglielmini – Grosser : Il sistema letterario – Principato – Milano 1989
Il gelsomino notturno

E s’aprono i fiori notturni,
nell’ora che penso a’ miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.
Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l’ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala
l’odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l’erba sopra le fosse.
Un’ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l’aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.
Per tutta la notte s’esala
l’odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s’è spento . . .
È l’alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l’urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.
Il “gelsomino notturno” è una delle tante liriche dei “Canti di Castelvecchio” pubblicata prima in un opuscolo “per nozze” nel luglio 1901 e poi nel 1903 inserita nei “Canti”.
I gelsomini notturni, detti anche “le belle di notte”, aprono i loro fiori al calar della sera, proprio quando il poeta rivolge il pensiero ai suoi morti. Anche le farfalle del crepuscolo iniziano il loro volo tra i viburni nelle ore della notte. Solo in una casa ancora si veglia, ed i rumori sommessi che ne provengono, non turbano la pace notturna, ma sembrano un bisbiglio di voci. Dai calici aperti dei fiori di gelsomino si esala un profumo che fa pensare all’odore di fragole rosse. Nella casa palpita ancora la vita e una luce splende nella sala mentre l’erba cresce sulle fosse dei morti. Un’ape, che si è attardata nel volo, trova tutte occupate le cellette del suo alveare. La costellazione delle Pleiadi risplende nel cielo azzurro e il tremolio della sua luce richiama alla mente l’immagine di una piccola chioccia circondata dai suoi pulcini, intenti a pigolare. Per tutta la notte si esala il profumo dei gelsomini che il vento porta via con sé. La luce accesa nella casa sale su per la scala, brilla al primo piano e si spegne: chiara allusione agli sposi che si uniscono nell’oscurità. Al sopraggiungere dell’alba si chiudono i petali del gelsomino, immaginato come oggetto di violenza e di profanazione, cui segue il germogliare di una nuova vita nel grembo della sposa, ora madre.
Il gelsomino notturno, infatti, è il fiore che viene paragonato al rito di fecondazione proprio per la sua caratteristica di schiudersi la notte e di esalare il suo profumo penetrante ed inebriante; inoltre il suo colore rosso, simbolo della passione, si fonde con il suo profumo dolce ed invitante.
Ma all’alba i petali del fiore si chiudono, un po’ gualciti: è proprio questa l’idea che il poeta ha del sesso e che ha voluto trasmetterci con quest’opera.
Traspare qui un tocco della sensibilità propria del Poeta, che riesce ad evidenziare con grande delicatezza il rapporto tra il fiore e la donna.
In questa poesia coesistono svariati temi, ma il principale è l’eros riferito alla giovane coppia, da cui scaturisce un sentimento di esclusione del Poeta, che di fronte a quell’esperienza prova turbamento e fascino, attrazione e repulsione, come dinanzi a una condizione a lui, per sua scelta, negata.
Un altro tema fondamentale della sua poetica è il tema del nido che rivela la personale ed esclusiva concezione della famiglia: l’immagine del nido, in cui i piccoli dormono sotto le ali della madre, trasmette l’idea rassicurante di esso come rifugio sicuro, protettivo, tema molto caro al poeta.
Questo tipo di attaccamento alla famiglia, intesa come chiuso nido, non ha permesso all’autore di avere relazioni amorose poiché egli pensava che le due sorelle che gli erano rimaste avrebbero potuto soddisfare tutte le sue esigenze affettive.
Pascoli, infatti, era morbosamente legato alle sorelle, in modo talmente ossessivo che quando una delle due si sposò reagì con una crisi depressiva vedendolo come un tradimento personale.
Su questo testo esiste una grande produzione critica che ne ha messo in luce – a volte con sofisticata sottigliezza – l’originalità e la complessità .
Ne riporto qualcuna :
“Ne Il gelsomino notturno è la presenza dei morti, tanto più intensa quanto più lievemente sfumata, a costringere il poeta alla parte di chi contempla, non senza un turbamento quasi morboso, l’attuarsi del rapporto d’amore negli altri, dal di fuori, con un’attrazione accesa che è continuamente corrosa dall’insistenza acuta e amara delle immagini funebri […] «L’ora che penso ai miei cari», cioè l’allusione ai morti, ritorna in un fitto contrappunto con le immagini della contemplazione eccitata del possesso amoroso in altri: «le farfalle crepuscolari», «le fosse», intrecciate allo scatto improvviso e sensualissimo delle «fragole rosse)), del «nido sotto l’ali», poi «le celle», i «calici aperti», «il lume su per la scala», con un’accentuazione di cronaca[…] che sottolinea I’attenzione eccitata del voyeur di fronte al compiersi dell’unione sessuale; e già prima i richiami dell’attenzione sui dati dell’evento che sta per compiersi erano stati continui, quale terzo elemento unito alla simbologia vagamente e poeticamente sessuale e il momento dei morti: «là sola una casa bisbiglia»; «splende un lume là nella casa» (e si noti ancora la ripetizione degli avverbi di luogo, a esprimere l’orgasmo e il turbamento dell’attenzione a ciò che avviene nella casa). C’è, nella conclusione de Il gelsomino notturno […] il senso del possesso amoroso come violenza, entro la simbologia floreale tipica per la donna, del Pascoli, ma con quel tanto di morboso, di eccitato, che è nella figurazione pascoliana per l’immagine, che vi è legata, della fragilità femminile sottoposta all’offesa, alla violazione: «Si chiudono i petali/un poco gualciti”. (G. Bàrberi-Squarotti, Simboli e strutture della poesia del Pascoli, D’Anna, 1966).
Guglielmino – Grosser, cit.
In questa lirica il tema dell’eros, al quale il Pascoli si accostò sempre con una sensibilità turbata e adolescenziale di attrazione e frustrazione, mostra risultati poetici di alta suggestione : << quali sono le condizioni, sempre anomale, ma sempre straordinariamente acute, dentro cui Pascoli sente l'esperienza erotica: come sofferenza, morte, violazione, rinunzia, esperienza misteriosa e preclusa. L’atteggiamento del poeta dinnanzi all'atto nuziale, all'unirsi degli sposi nella loro casa, è quello di un adolescente, è un morboso coesistere di vaghe e conturbanti idee di violenza ( vv.21-22..) e di attrazione voyeristica (vv. 19-20: (M. Tropea: Giovanni Pascoli tra simbolismo e problemi dell’Italia post-unitaria-Bonanno, 2012). <<…………Sotto l'ale dormono i nidi, come gli occhi sotto le ciglia e c'è il senso quasi torpido, sornione del sonno, questo beato arrendersi al cessare della sorveglianza e della coscienza; entrare ghiotto e indifeso nel dominio dei sogni e della fisicità che li influenza. E poi, in corrispondenza con l'odore di fragole rosse: Splende un lume là nella sala. Nasce l'erba sopra le fosse. Si precisano, nell'interno, immagini amorose. Si sa che la poesia fu scritta per le nozze dell'amico Gabriele Briganti. Non importa -sono d'accordo col Chimenz - che la sala, la casa siano materialmente quelle dove l'amico ha portato, per la prima volta, la sua sposa. 0ui siamo nel puro dominio dell'immagine, a cui basta di vivere sulla ribalta dell'immaginazione, senza bisogno di riferimenti univoci e concreti. E si può anche precisare che quel «nasce l'erba sopra le fosse, è pura visionarietà: un'azione che non si vede mai accadere, e bisogna metterla in scena, farla svolgersi nella fantasia. La visionarietà di questa seconda immagine ci permette di identificare, anche, la visionarietà della prima. E l'averle così associate, o almeno accostate, può far supporre nel Pascoli anche l'intenzione di alludere alla vecchia parentela tra amore e morte. Ln quella sala, dove il lume ancora brilla, si svolge un colloquio d'amore, un preludio all'amore nuziale. La nota ai Canti di Castelvecchio soggiunse con la leziosaggine indiscreta ch'è così frequente nel Pascoli: ln quelle ore sbocciò un fiorellino che unisce (secondo l'intenzione sua), al nome d'un dio e d'un angelo, quello d'un povero uomo: voglio dire, gli nacque [a Gabriele Briganti, ma semmai in quella notte cominciò soltanto a nascere il suo Dante Gabriele Giovanni. E perfino in questo giochetto sul nome del bambino si confermano tutte le allusioni, di cui sono sovraccaricati i due versi che stiamo osservando: nome di un dio e di un angelo, promesse celestiali, eterne di rapimento e di gioia che brillano sull'annunciarsi dell'amore; nome di un povero uomo: cioè di un mortale, rintocco del senso di dissolvimento, che è come il castigo, la resipiscenza dell'amore ormai consumato e che si concreterà (se si concreta) in una povera vita di uomo……….>> Giacomo Debenedetti: Saggi critici, Marsilio, 1999
L’ape tardiva, esclusa dall’alveare, che si aggira nella sua più totale solitudine, rappresenta la figura del poeta: solo, chiuso nel suo nido familiare e destinato a non avere una sua famiglia dove poter essere marito e padre.

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