Note sulla terza raccolta di poesie “Noli me tangere” di Francesco Tarantino.
Anzitutto ti ringrazio per avermi cortesemente fatto dono della tua raccolta, che ho divorato e poi riletto con più calma.
Già la prima impressione era stata molto positiva, come ebbi modo di comunicarti in brevi flash, seduti qualche sera fa sul “pezzo” della nostra piazza di Mormanno.
Ma ora ritengo doveroso esplicitare , spero, più compiutamente il mio pensiero e le mie considerazioni.
Al di là delle problematiche collocazioni in improbabili etichettature (ogni poeta ha un suo specifico ed esclusivo humus da cui trae spunti), mi preme addentrarmi subito in argomento.
Così le mie impressioni su questa raccolta non saranno condizionate da erudite reminiscenze e fantasiosi paragoni, ma solo da vive impressioni.
Poesia, quella di Francesco, spesso discorsiva, (lontana quindi da alcuni miei fugaci tentativi, per lo più ermetici), ma non per questo meno incisiva, anzi ancor più evocativa di un percorso interiore evidentemente proteso verso una visione più ampia e dislocata in contesti spazio-temporali dilatati, riportati via via ad una dimensione di un presente, a volte anche pressante, costellato di cospicui temi e riferimenti a lui più cari, subito, quasi istintivamente direi, in sintonia con le nostre acute sensibilità, sapientemente preparate a percepirli.
Ritengo tutto ciò un traguardo sicuramente non da poco, un bel salto di qualità, a mio modesto avviso, del Poeta.
E queste intime sue emozioni, che pur spesso avvertiamo, si sciolgono ormai in una rappresentazione che oserei definire naturalmente cosmica, dove la descrizione dell’amore, del dolore, del rimpianto, della denuncia dei mali della società divengono “calore di fiamma lontana”.
Non perché Francesco non li avverta più sulla propria pelle, ma perché quelle sensazioni si sono come stemperate in un contesto più maturo e più riflessivo, a volte trascendentale , e non urgono come un tempo.
Anche se la vita c’è, sembra però oggi pulsare in un’atmosfera un po’ più rarefatta.
Comunque quella convinzione di non aver mai abbandonato certi ideali, anzi di non aver mai evitato il confronto con una realtà per molti aspetti aliena alla peculiarità del suo essere, si manifesta e si dispiega in queste sue poesie in modo sempre più consapevole ed a volte umanamente nostalgico.
E partendo dalla traumatica perdita della donna amata giunge oggi ad una visione di Lei sospesa tra cielo e terra, nell’aspirazione costantemente protesa ad un sicuro ricongiungimento.
Visione dicevo, perché la poesia di Francesco è permeata di sogni; non utopie, ma sogni scaturiti dalla mai smarrita razionalità, che sprona e sorregge la levità del dire, che entra prepotentemente nella spesso svagata nostra riflessività e ci coglie di sorpresa.
Sentimenti genuini, scaturenti dal vissuto quotidiano ma elevati ad emblematica simbologia esistenziale, di un sempre eterno, ineluttabile contrasto tra bene e male.
Grazie Francesco ed “Ad maiora, semper”.
Domenico Crea