Milano: Galeazzo Maria Sforza, il Duca scapestrato

 
MILANO: GALEAZZO MARIA SFORZA, IL DUCA SCAPESTRATO

Il secondo Sforza al comando di Milano fu ben poco amato.
Crudele, irascibile, instabile e accentratore, morì assassinato a 33 anni. Il funerale avvenne la notte stessa dell’omicidio e il corpo del duca fu seppellito nel Duomo, senza segnalarne il luogo in nessun modo.
La mattina del 26 dicembre 7476 faceva molto freddo. E Galeazzo Maria Sforza, duca di MiÌano, avrebbe volentieri fatto a meno di uscire per recarsi a messa. Ma tutto era già pronto, non poteva tardare oltre. Baciò i figli Gian Galeazzo ed Hermes, poi montò a cavallo e dal Castello Sforzesco si diresse verso la chiesa di Santo Stefano. Quello che non sapeva, però, era che non sarebbe più tornato a casa. Ad attenderlo tra le sacre mura trovò infatti Giovanni Lampugnani e altri due congiurati, che in pochi istanti lo massacrarono con quattordici coltellate sferrate a bruciapelo. Galeazzo aveva allora solo 33 anni e da dieci aveva preso in mano il governo di Milano, dopo la morte del padre Francesco Sforza.
Quell’assassinio fu uno dei momenti più cupi del ducato.
La duchessa Bona di Savoia, più spaventata che affranta, mandò dal castello tre anelli e una veste bianca e oro con cui rivestire il corpo straziato del marito, portato nel frattempo nella sacrestia della chiesa.
Calata la notte, il cadavere “eccellente” venne seppellito in Duomo, in una tomba senza nome, in alto tra due piloni.
Niente cerimonia ufficiale. Solo un breve corteo con i famigliari e il clero. Perché tanta fretta? Anzitutto il timore di un colpo di Stato:non si sapeva che piega avrebbe potuto prendere la congiura. Del resto, Galeazzo Maria era un personaggio controverso: i milanesi non lo amavano e in fondo pensavano che quella morte violenta se la fosse cercata. Ma era davvero così?
Per scovare nei documenti del tempo giudizi positivi su di lui bisogna risalire molto indietro, a quando era ancora bambino. A quei tempi le cronache erano piene di lodi e di ammirazione per quel “duchino” spigliato e studioso, che incantava per i suoi modi perfetti, sempre a suo agio con i potenti del tempo che venivano in visita alla corte di suo padre, Francesco Sforza.
Già a sei anni, nel marzo 1450, Galeazzo Maria ricevette in Duomo l’ investitura a cavaliere, con spada e speroni dorati, tutto in formato mignon. Ma anche da cavaliere, Galeazzo rimaneva pur sempre un bambino: nel dicembre 1452 scriveva al padre una lettera di Natale in cui prometteva di “conseguire la vera e solida gloria” , sicuro che ” la Vostro Magnanima Signoria non me lassarà mancare cavalli, cani e uccelli, né alcuna altra coso che grata me fosse”.
La caccia, infatti, fu per tutta la vita i1 suo passatempo preferito. Crescendo, Galeazzo si dimostrò un adolescente intelligente, curioso di tutto, ma con un carattere prepotente e aggressivo.
Voci per niente rassicuranti sulla sua indole arrivarono presto all’orecchio di Francesco Sforza, molto attento all’educazione del figlio, nonostante le sue frequenti assenze legate al governo del ducato.Il duca decise di intervenire e, tra la fine di giugno e gli inizi di luglio del 1457, prese carta e penna e di sua mano scrisse a Galeazzo Maria i Dieci suggerimenti di buon vivere, riassunti in un linguaggio moderno, preceduti da una lettera in cui parlava a cuore aperto al figlio. Ne emerge la figura di un padre molto più sensibile ed evoluto di quanto ci si potrebbe aspettare da un condottiero come lui, abituato a comandare sui campi di battaglia.
Con il figlio usa un tono pacato, alternando dolcezza e severità.
Scopriamo così che Galeazzo Maria, fino ai 13 anni, non aveva mai ricevuto uno schiaffo, né un rimprovero. E questo perché era ancora “ne li anni de la pueritia” e il duca voleva prima capire i vizi e “li costumi et modi” che il figlio assumeva. Ora però che Francesco Sforza si era reso conto dei comportamenti del figlio, correva ai ripari indicandogli le regole da rispettare.
I1 duca passa poi ai dieci Suggerimenti veri e propri, da cui è facile capire i comportamenti che lo impensierivano. Si delinea così il ritratto di un tredicenne: insofferente alle regole, svogliato nello studio, arrogante. Ma questo era il meno. Galeazzo Maria soprattutto era vendicativo, crudeìe, incapace di perdonare. Bastava un nonnulla per fargli sguainare la spada e ottenere con quella ciò che voleva. II duchino, dopo aver letto i consigli paterni, assicurò il padre che l’unico suo intento era di “satisfare al desiderio de la Excellentia Vostra” e poco dopo mise incinta Lucrezia Landriani, prima di una lunghissima serie di amanti, divenendo così padre a 14 anni. Galeazzo Maria, vari anni dopo, si vantava di avere un solo vizio, quello della “lussuria, ma quello lo ho in tutta perfezione, perché lo ho adoperato in tutti quei modi e forme che si possa fare” .
Chi l’ha conosciuto bene, come Bernardino Corio, racconta che molestava le donne e quando “lui hauea satisfato a la disonesta voglia, puoi d’assai numero de suoi le faceva stuprare”.
A prova della crudeltà di Galeazzo Maria riporta poi una lista di torture cui sottoponeva chi non gli andava a genio, come il povero Petrino da Castello, a cui fece tagliare le mani perché aveva osato parlare con una sua favorita. O Pietro Drago, a cui andò anche peggio: lo fece chiudere in una bara e seppellire vivo, mentre un suo favorito, Giovanni da Verona, fu legato a un tavolo e gli fu tolto un testicolo. Non per nulla la duchessa Bona di Savoia, pur avendo ingoiato molti bocconi amari per gli eccessi del marito, raccomandò al papa l’anima di Galeazzo per “i saccheggi, ruberie, estorsione dei sudditi, imposizione di gabelle, vizi di carnalità, simonie notorie e scandalose e altri innumerevoli peccati” , con poche speranze di risparmiargli l’inferno.
Il duca dimostrò comunque buone capacità di governo, anche se in parte vanificate dal caratteraccio. Per Milano aveva progetti grandiosi: fece sistemare il Castello Sforzesco e trasferì la corte, migliorò strade e trasformò I’economia lombarda favorendo l’artigianato, I’arte della stampa, la coltivazione del riso e del gelso, ben prima del fratello Ludovico il Moro che se ne attribuì poi il merito.
Ma restava un personaggio scomodo. La sua politica accentratrice lo portò per esempio a ridimensionare il ruolo della madre Bianca Maria Visconti, donna “de animo umile” abituata al comando, e quello dell’antica nobiltà milanese, che Galeazzo sommerse di tasse. Anche i fratelli furono emarginati. In particolare Ludovico il Moro che infatti dopo la sua morte si vendicherà prendendo il potere con un colpo di mano a scapito del nipote Gian Galeazzo. Sullo sfondo, Luigi XI, re di Francia, preoccupato per le ambizioni di Galeazzo Maria di diventare re d’Italia.Ce n’era abbastanza per accendere la miccia di una congiura contro quel duca “scapestrato”
Ludovico il Moro (1452-1 508), Fratello di Galeazzo Maria, ne prese il posto al comando di Milano prima come reggente, usurpando il potere del nipote, e poi come Duca a pieno titolo.

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