Il tema lir. 6:J. R. Jimènez: Notturno

Juan Ramòn Jimènez : Notturno

La mia lacrima e la stella
si toccarono, e in quel momento,
divennero una sola lacrima,
divennero una sola stella.
Rimasi cieco, rimase
cieco, d’amore, il cielo.
Fu tutto il mondo – e nulla più –
pena di stella, luce di lacrima.

Juan Ramón Jiménez nacque a Moguer, in provincia di Huelva, in Andalusia, il 24 dicembre 1881
Trascorse tra Moguer e Huelva un’in­fanzia di sogno che ricordò sempre con romantico sentimento.

Nel 1900 iniziò la storia della sua poesia, che portò avanti per tutta la vita ma con diverse sfumature
Nel 1956 ricevette il Premio Nobel per la poesia e morì nel 1958.
«Amore e poesia ogni giorno», recita il verso posto all’inizio di Eternidades, la raccolta che tratta il tema dell’amore, che percorre com’è naturale tutta l’opera di Jiménez
«La sua cortesia, la sua sensualità, la sua curio­sità, che lo portano come un bambino verso le cose, sono talmente pure, distaccate e spirituali, hanno una tale necessità sovrumana di perfezio­ne che si convertono in causa d’insoddisfazione e d’allontanamento. Il risultato è la malinconia, l’esaltazione del mondo interiore, la febbre di creazione» (F. de Onis).
Questa lirica del Jimènez, un po’ anomala rispetto al suo percorso poetico, evidenzia un momento chiaramente doloroso della sua vita, così angosciante da annullare, nel raccoglimento della notte, il positivo progetto di vita sopracitato.
Ma a me è piaciuta molto.
Lo sguardo del Poeta, offuscato dalle lacrime, si volge ad una delle innumerevoli stelle del firmamento ed è come se la inondi del suo sconfinato dolore, ricevendo a sua volta, quasi una consolazione, la luce abbagliante di quella.
Ma quelle lacrime, oltre ad espungere ogni sentimento d’amore dal suo animo, han fatto sì che anche il cielo venga contaminato da quel suo dolore che tutto pervade.
Non si può, pur in un diverso contesto, non pensare a Leopardi ed al suo pessimismo “cosmico”, mirabilmente espresso con differente linguaggio nel “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”.
Entrambi, infatti, esprimono la loro convinzione che vivere è soffrire e che tutti gli esseri viventi, persino gli astri, forse soffrono fin quando esistono.
Ma mentre il Leopardi perviene a quella certezza con un’espressione poetica discorsiva ed attraverso finti interrogativi, in Jiménez, dopo un secolo, quelle certezze sono ormai acquisite e con un linguaggio stringato ed essenziale, di esperienza modernista, rivela agli altri il suo stato d’animo.
In un contesto di una pallida luce astrale, il Poeta esprime la sua tormentata condizione in un senso di angosciante dolore universale.
Egli fa di questo paesaggio il punto di riferimento del suo spirito, che qualcuno ha definito un “culto panteista”, che confluisce in uno sfinimento perenne, sull’onda di Verlaine.
Sciolta dai legami contingenti, fatta poesia «pura», tutta la sua lirica diventa «eterna» nel tempo, unica nella sua originalità, ed ha le sue più alte vette in La estación total (1946), nei Romances de Coral Gables (1948) e in Animal de fondo (1950).

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