Il tema del viaggio: L'Anàbasi di Senofonte

 
L ’ANABASI  di   SENOFONTE

“Θάλασσα! Θάλασσα!” , ( “Il mare! Il mare!” )

Questo fu il grido liberatorio che diecimila soldati greci, dall’alto del monte Theche, nell’odierna Turchia, urlarono nello scorgere la distesa del mare, cioè la f ine della loro miserevole  avventura in terra persiana.
Così, alla fine,quei valorosi  erano riusciti a superare i pericoli della natura e gli agguati dei persiani.

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Antefatto

Senofonte era un nobile ateniese innamorato del mito di Sparta: Egli si sentiva superiore ai suoi democratici concittadini e sognava di vivere nella
città del Peloponneso, Sparta, famosa per i suoi guerrieri, dove i bambini venivano addestrati ad ogni esperienza di vita, anche al furto e all’omicidio .
Fu per lui, quindi, un’agognata occasione per fare  un’esperienza militare sul campo quella proposta dall’amico Prosseno, che assoldava mercenari in Grecia su incarico di Ciro il Giovane, che voleva spodestare dal trono il fratello Arteserse.
Nel 401 a.C. perciò Senofonte partecipò ad una spedizione di mercenari greci comandati da Clearco di Sparta e ingaggiati, dopo la fine della guerra del Peloponneso , da Ciro il Giovane contro il fratello maggiore, appunto l’ Imperatore Artaserse II di Persia.

Nella battaglia di Cunassa (3 settembre dello stesso anno) i mercenari greci riportarono nello scontro comunque la vittoria sul loro fronte, ma Ciro, spintosi troppo oltre nel tentativo di uccidere personalmente l’odiato fratello, trovò invece la morte.

Clearco, invitato a negoziare con le forze di Artaserse, fu vittima, insieme agli altri mprudenti strateghi greci, di un vile inganno ordito da Tissaferne, consigliere di Artaserse, nel quale furono sopraffatti ed uccisi tutti i comandanti greci, incluso Prosseno.

Il contingente greco, che contava circa diecimila uomini, si trovò ad un tratto senza guida, sbandato e disorientato, in un territorio ostile, a migliaia di chilometri dalla propria patria.

Eppure quei mercenari, ormai spauriti ed amareggiati, grazie al loro coraggio e disciplina, non si sbandarono : elessero nuovi strateghi, tra cui, appunto, Senofonte, che li guidò subito dopo a sfuggire alle truppe di Tissaferne.

Questi dopo un po’ desistette da ulteriori inseguimenti, soprattutto quando vide che i soldati greci si addentravano nei territori aspri e montuosi dell’odierno Kurdistan.
Senofonte si ritrovò d’un tratto posto alla guida di quei disperati, lieto però di poter sperimentare quell’incarico con determinazione e coraggio.

Ma prima di giungere quasi al sicuro, i mercenari greci dovettero affrontare una marcia inimmaginabile, durata più di un anno, in un deserto “vasto e piatto come il mare”, lungo sconosciuti sentieri e orridi precipizi, intirizziti dal gelo sulle alte montagne del Caucaso, accecati dal sole e dalla neve, in continui scontri con le popolazioni locali: un vero inferno che i greci si trovarono a dover superare fino alla loro, sospirata, meta: il Ponto Eusino (Mar Nero).
Di qui si imbarcarono per la Tracia, per poi tornare al luogo di concentramento di Tibron, nei pressi di Pergamo, a nord-ovest di Sardi (luogo di raduno dei mercenari all’inizio dell’Anabasi) e infine raggiunsero la Grecia.
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Da qui l’Anàbasi, anche se il termine greco “anàbasi” , in verità, significa letteralmente “viaggio dalla costa verso l’interno”, ed è l’opposto del termine “katàbasi” che significa invece “viaggio dall’interno verso la costa”.
L’avventura descritta da Senofonte, quindi, cioè il resoconto del tragico, faticoso cammino dei 10.000 verso la costa e del loro tanto sperato ritorno in Grecia, sarebbe una ” katàbasi” più che un’ ”anàbasi”.

Un’ incredibile e autobiografica storia di una massacrante, pericolosa avventura, raccontata in prima persona dall’autore, un disperato “Viaggio” per mettere alla prova le capacità di sopravvivenza, singola e di gruppo, in una terra straniera ed ostile, con le descrizioni delle battaglie e delle strategie militari adottate, non priva di un documentato e attendibile inquadramento storico, avendo sempre nel cuore, come unica meta, la Patria un dì abbandonata.

Il resoconto di quella quasi inverosimile impresa, noto appunto come “Anàbasi”, è un classico della letteratura greca.
Ma il viaggio si svolse davvero come Senofonte ce lo racconta?

Oppure è un resoconto un po’ romanzato, un panegirico, cioè quasi una “Cicero pro domo sua”?
Quanto c’è di vero nelle parole incisive e drammatiche di Senofonte? Chissà!!

Sappiamo però che nel mondo antico gli storici non erano tenuti ad essere veramente degni di fede, ma piuttosto abili narratori e pittori, per cui occorre considerare l’”Anàbasi” quasi come un romanzo, la relazione, un po’ realistica, su un aspro viaggio, la cronaca del periglioso percorso di un gruppo di disperati in una terra sconosciuta ed ostile, ricco comunque di interessanti esperienze di viaggio.

Lo scrittore Valerio Massimo Manfredi si è messo sulle tracce di Senofonte e dei suoi soldati e ne ha ripercorso il cammino, cercando di individuare nel paesaggio attuale i luoghi di quell’incredibile avventura.
Senofonte è appunto il protagonista de” L’armata perduta”, romanzo di Valerio Massimo Manfredi incentrato sull’Anabasi.

Questo libro riporta l’appassionante resoconto dei viaggi condotti da Manfredi stesso in Anatolia, lungo quella che sarebbe diventata nota come “la strada dei Diecimila”.

Mario Desiati, scrittore, poeta e giornalista, commentando l’Anàbasi edito da  Rizzoli- BUR, ha scritto:
“L’Anàbasi racconta l’aspetto più intimo di una guerra. L’Anàbasi è una marcia di ritorno, è il desiderio delle proprie origini, sono le mille e apparentemente inutili riunioni, diplomazie e reticenze di un esercito di mercenari, ma soprattutto di un esercito di uomini. L’Anàbasi è il sogno e la nostalgia della pace domestica, ma anche il documento che testimonia come nelle situazioni più estreme l’uomo non perde mai la sua vocazione alla conoscenza.”

A Senofonte è stato intitolato il “cratere Senofonte”, sulla superficie della luna.

Di lui Italo Calvino ha scritto: “Come scrittore d’azione, Senofonte è esemplare”.

 

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