I Brettii, nostri Progenitori (1^ parte)
Brevi Note sul “De antiquitate et situ Calabriae”di Gabriele Barrio
( Francica (VV), 1506 circa – Francica , 1577 circa )
Le notizie biografiche sul calabrese Gabriele Barrio sono molto scarse e desunte per lo più dalle sue opere.
Sacerdote , appartenente all’ Ordine dei Minimi , si recò dapprima a Napoli , per proseguire gli studi, e successivamente a Roma , forse su invito del custode della Biblioteca Vaticana mons. Guglielmo Sirleto , fu valente storico ed umanista
A Roma , nel 1571 pubblicò l’opera più nota, la prima storia della Calabria
De antiquitate et situ Calabriae. Libri quinque.
L’opera, scritta in latino , è stata tradotta in italiano solo nel 1971
Una traduzione italiana della edizione curata da Tommaso Aceti è stata effettuata da Erasmo Mancuso e stampata dall’editore Brenner di Cosenza.
La prima edizione del De antiquitate et situ Calabriae ( 1571 ) sulla storia delle città della nostra Calabria si rivelò infatti talmente piena di errori e di lacune che il Barrio tentò di emendarla in vista di una seconda edizione, ma la morte, avvenuta nel 1577 , interruppe quel lavoro.
Sertorio Quattromani [1] , dopo più di un decennio, aggiunse all’opera postille esplicative; ma si giunse alla pubblicazione definitiva, completata poi da Tommaso Aceti , nel 1737 .
Anche questa nuova edizione fu pubblicata in latino per rispettare la volontà del suo autore.
Nei cinque libri dell’opera, destinata a «gente seria e di cultura» e perciò scritta in latino, l’Autore si propone di correggere e integrare gli errori sulla sua terra presenti negli storici e nei geografi, raccogliendo nel contempo le lodi di quella che,«senza offesa, è la più nobile di tutte le regioni d’Italia».
Barrio fornisce una descrizione dettagliata del territorio, con uno sguardo che va continuamente dal presente delle località esistenti, dei loro prodotti e dei loro costumi, al passato di città e borghi che un tempo furono famosi e di cui ormai non si è sicuri né sul nome né sul sito; prima di tornare da quel passato illustre a un presente di crisi e decadenza, dominato da tiranni «che la saccheggiano e la scorticano», nutrendosi del lavoro altrui per l’inestinguibile sete di guadagno.
Si capisce da questi cenni l’interesse di un’opera che divulgò una certa idea di Calabria, da essa passata non solo ad altre opere, ma anche a scritti di ben diverso genere.
Fra tanti, si cita la prefazione alla Philosophia sensibus demonstrata, in cui il grande filosofo calabrese Tommaso Campanella assume da Barrio l’idea di una Calabria che «per eccellenza ed antichità si distingue sopra tutte quasi le regioni».
E così via, fino a molti storici e letterati dei nostri giorni, i quali da punti di vista diversi si sono posti la questione di un’identità regionale calabrese, che, se proprio non nasce col De antiquitate, di sicuro trova in quel libro il suo promettente inizio.
Prima di Barrio, infatti, la Calabria era soltanto una terra dove erano transitati e vi convivevano popoli e culture diverse: Enotri, Bretti, Ausoni, Pelasgi, e naturalmente Greci che aveva segnato uno dei periodi di maggior splendore con la creazione della Magna Grecia, dove furono veramente grandi le repubbliche di Locri, Crotone e Sibari.
Nulla era rimasto di tutto quello splendore al tempo di Gabriele Barrio!
Secondo Giuseppe Galasso [3] nel Cinquecento la Calabria era semisederta: la popolazione complessiva si aggirava sui centomila individui per effetto delle guerre e devastazioni: le incursioni saracene, le campagne di riconquista dei bizantini e poi l’arrivo di normanni, svevi, angioini ed aragonesi.
Ciascuno aveva portato rovine e morte, tanto che coloro che venivano catturati e ridotti in schiavitù dai turchi spesso preferivano tentare un impossibile riscatto sociale tra gli infedeli piuttosto che ritornare sotto il potere dei baroni.
Esemplari sono poi le ricerche di Augusto Placanica [4] , lo studioso a cui maggiormente si deve l’approfondimento dell’«idea di Calabria»: per lui
Barrio è «un unicum», in grado come nessuno dei suoi contemporanei di unire «erudizione e conoscenza attuale, perfezione di stile, e vigorosa protesta per i mali del suo tempo»
Dopo aver esaminato le origini delle varie etnie che si sono succedute nella nostra regione, Barrio aveva posto l’attenzione soprattutto sui Brettii, (Bruttii per i romani ), citati da molti autori greci e latini. [5]
Dalla seconda metà del V sec. a.C. la Calabria settentrionale e centrale vide la penetrazione, che sembra graduale e non traumatica, di nuove popolazioni italiche che parlavano osco e vennero dapprima definite lucane; nel 356 a.C. si formò la confederazione dei Bretti (nelle fonti greche e nelle legende delle proprie monete, in alfabeto greco) o dei Bruzi (secondo i Romani), che ebbe centro a Cosenza.
I Brettii, popolazioni italiche (gr. Βρέττιοι; lat. Bruttii), nel IV e III sec. a.C. formarono nella Calabria settentrionale e centrale una confederazione più volte ostile ai Romani e da questi annientata alla fine della seconda guerra punica.
La successiva riorganizzazione romana del territorio affermò per l’intera regione una concezione geografica unitaria, con la denominazione Bruttii (usata sempre al plurale); limite settentrionale fu considerato il corso del fiume Laos, verso il Tirreno, e quelli del Sybaris (Coscile) e del Crati, verso lo Ionio (così in Plinio).
I Lucani e i Bretti esercitarono una notevole pressione sulle città greche, conquistarono Laos, Terina e, per qualche tempo, Hipponion.
Egli definisce Cosenza «antichissima e celeberrima» e la cita per la prima volta proprio come «città più importante dei Brettìi, chiamata anche Brettia» , che quel popolo aveva scelto come propria capitale.
Da “storico”, Barrio cercò di fornire una visione “oggettiva”, per quanto possibile, di quel popolo, comparando le fonti «per recare in luce una verità che dai detrattori o viene taciuta o viene ignorata» [6] , e «Cosenza – dice Strabòne [7] – fu la città più importante dei Brettii» [8]
Per stabilire l’esatta ortografia di quel popolo, egli prende in considerazione le antiche monete rinvenute nella Magna Grecia, indicandone una nella quale era possibile leggere l’iscrizione ZAAENTINOI KAI BPEKTIOI (Salentini e Brettii).
II nome sarebbe derivato, secondo quanto affermato da Stefano Bizantino [9] e accettato da Salmasio, dal figlio di Eracle, chiamato Brettos: l’eroe sarebbe nato dall’unione tra l’eroe, figlio di Zeus e Alcmena e la ninfa Baletia.
Di quest’ultima, madre di Brettos, ci informa Pomponio Mela, considerandola figlia della divinità fluviale Valetium o Baletus, piccolo fiume della Brettìa, secondo la descrizione pliniana sito nei pressi di Blanda, sulla costa dell’ alto Tirreno, nei pressi dell’ attuale Tortora [10]
Figlio quindi di un glorioso semidio, Eracle, e di una ninfa acquatica, Brettos annoverava fra i suoi progenitori addirittura un genio delle sorgenti.
Tra le città della Calabria magno-greca, i nomi di Medma e Pandosia sarebbero appunto derivati da quelli di ninfe; Caulon era invece il nome del giovane eponimo di Caulonia, figlio dell’ amazzone Cleta, originario nome della colonia.
Durante il consolato di M. Popilio Lena e C. Manlio Imperioso, negli anni della CVI Olimpiade, in Italia intorno alla Lucania una folla notevole di uomini, quasi tutti fuggitivi da vari luoghi, si raccolse e dapprima si dedicarono a ruberie qua e là, di poi e col praticare i turni di guardia e con le frequenti incursioni ed altre esercitazioni, cominciarono ad abituarsi al rispetto degli ordinamenti militari.
Così, scontratisi in regolari combattimenti con i coloni di quei luoghi, riuscivano sempre vincitori, e, accresciutesi le loro forze, voltisi all’assedio delle città, conquistarono e distrussero la città di Terina.
In seguito, ridotte in loro potere Arponium, Turi ed alquante altre città, si diedero un ordinamento e furono chiamati, con voce indigena, Brettii, poiché la maggior parte di loro erano servi. Infatti, nella lingua del luogo i fuggitivi erano chiamati Brettii.
Questo popolo d’Italia ebbe un’origine di tal genere (pp. 27-2S) [11]
I Brettii sarebbero stati dei pastori alle dipendenze dei Lucani e da questi, in seguito, affrancati e il nome del popolo significherebbe “ribelli” nell’idioma lucano, in quanto si “ribellarono” in occasione della guerra tra i Lucani e Dioniso, che provocò una serie di lotte intestine tra i vari popoli.
Nella scelta tra “ribelli”, “fuggitivi”, “servi” o “pastori”, Barrio optò per l’ultima soluzione, riconoscendo in questi gli antichi popoli italici degli Ausoni o Aurunci.
Continua…………
Sertorio Quattromani ( Cosenza , 1541 – Cosenza , 1603 ) è stato uno scrittore italiano . Pubblicò dopo aggiunte :Gabrielis Barrii Francicani: De Antiquitate et situ Calabriae libri quinque, nunc primum ex authographo restitutos ac per capita distributi. Prolegomena, Additiones, et Notae. Quibus accesserunt animadversiones Sertorii Quattrimani patricii consentini, Romae, ex Typographia S. Michaelis ad Ripam Sumptibus Hieronymi Mainardi Superiorum permissu. 1737
Tommaso Aceti ( Figline Vegliaturo , 24 ottobre 1687 – Lacedonia , 10 aprile 1749 ) è stato un vescovo cattolico , bibliotecario e filologo italiano Studiò lettere umane a Cosenza , dove venne ordinato sacerdote ;Nel 1744 papa Benedetto XII lo nominò vescovo di Lacedonia
G. Galasso:Economia e società nella Calabria del 1500, Soveria Mannelli, Rubettino 1979
A. Placanica:Storia della Calabria dall’antichità ai nostri giorni, Editore Donzelli, 1999
Thomae Aceti, Accademici Consentirli, et Vaticanae Basilicae clerici beneficiati in Gabrìelis rii Francicani De Antiquitate & situ Calabriae Libros Quinque, Nane primum ex autographo utos ac per Capita distributos, Prolegomeni, Additiones, & Notae. Quibus accesserunt iversiones Sartorii Quattrimani Patricii Consentini, Romae MDCCXXXVII.
G. Barrio, Antichità e luoghi della Calabria, di., Prolegomeni, p. 27. «… Verum etiam ad veritatem aperendiam, quae ab invidis vel obticetur vel ignoratur», De Antiquitate & situ Calabriae…, cit., Prolegomena, caput III, p. XX.
(gr. Στράβων, lat. Strabo -onis ). – Storico e geografo greco (n. Amasea, Ponto, prima del 60 a. C. – m. forse ivi, circa il 20 d. C.). Delle sue opere rimane la
G. Barrio, Antichità e luoghi della Calabria, libro II, p. 186. «Fuit Consentia, ait Strabo, Brettiorum Metropolis», De Antiquitate & situ Calabriae…, cit., liber II, caput VI, p. LXXIX.
6 «Apud omnes Graecos scriptores compertum est Brettios appellati, non Bruttios Brutios, teste Antiocho, Dionysio, Aristophane, Diodoro, Strabone, et fexcentis aliis», De quitate & situ Calabriae…,proL, cit., pp. XX-XXI.
Plinìo, Naturalis Historia, III, 10, 72; Stefano Bizantino, s.v.
De Antiquitate & sìtu e…,cit.,prol., caput IH, p. XXI.