Ugo Foscolo : Dai Sonetti:
Alla sera
Forse perché della fatal quÏete
Tu sei l’imago a me sì cara vieni
O sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni,
E quando dal nevoso aere inquÏete
Tenebre e lunghe all’universo meni
Sempre scendi invocata, e le secrete
Vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
Questo reo tempo, e van con lui le torme
Delle cure onde meco egli si strugge;
E mentre io guardo la tua pace, dorme
Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.
Il Foscolo pose il sonetto, scritto nel 1803, emblematicamente al primo posto nella definitiva edizione, come introduzione a tutta la raccolta.
Il tema complessivo, inserito in una visione materialistica e meccanicistica (fatal quiete del v.1 e nulla eterno, del v.10) ed accennante alla situazione storica ( questo reo tempo), evidenzia l’identificazione sera-quiete-morte, ed è introdotto in modo retoricamente dubitativo dall’iniziale forse.
A questo concetto dell’identificazione s’interseca quello dell’aspirazione ad un’esistenza riposata e sicura, al riparo dal turbinio delle passioni,delusioni e tormenti (le torme delle cure dei vv. 11-12), che sfuma in una momentanea serenità ( dorme quello spirto guerrier.. dei vv. 13-14).
E questi due temi similmente si sviluppano: il primo, infatti, evolve dall’iniziale dubbio alla certezza; il secondo da vaga aspirazione a momentaneo possesso.
Il discorso lirico, come in tutti i momenti più intensi di questa poesia, sembra muovere da una remota e ininterrotta me¬ditazione interiore, che si manifesta in una valida espressione poetica.
A creare tale effetto, di discorso ripreso dopo una pausa riflessiva, contribuisce certamente la posizione iniziale di quel Forse perché etc. con tutto l’ampio periodo lirico che lo segue, così frequente di pause e di ragioni intime, fino al vocativo, o Sera!, che solo al terzo verso, dopo due endecasillabi, si de¬cide a introdurre l’interlocutrice e l’oggetto stesso della meditazione.
La suggestione del sonetto nasce da una tensione morale assai più che da una ten-sione intellettuale: il riferimento alla rela¬zione Sera-Morte, ed al processo di creazione e disgregazione dell’universo, così caro alla filosofia tardo-settecentesca, è solo un accenno senza insistenza: («Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme Che vanno al nulla eterno; »).
Si pensi invece all’Infinito leopardiano, se si vuoi trovare, per contrasto, un esempio di lirica in cui la suggestione della vita e della morte, dell’infinito dei mondi, del tempo e dell’eterno, nasce da una tensione Intellettuale, sia pure risolta nel sentimento.
Nel sonetto foscoliano, invece, la poesia nasce da un’ inesausta tensione morale: i versi delle quartine, così suggestivi, sono in realtà solo descrittivi, una indimenticabile descrizione alla maniera dell’Ossian, ma con l’arte di chi ha assimilato i lirici greci e latini e quelli italiani da Petrarca al Parini.
Il centro lirico del sonetto è nelle terzine, nella guerra del reo tempo e delle cure- onde egli si strugge contro il Poeta, nella loro fuga, inesorabile per la legge stessa della fugacità e del trapasso di ogni cosa, nel placarsi momentaneo di quel ruggente spirto guerrier nel « dolce naufragio » della gran pace della Sera: una tensione morale che si allenta, ma che si intuisce già pronta alle nuove prove che l’attendono, una tregua breve nel diuturno combattimento contro « gli eventi avversi », una foscoliana, ferma contemplazione (e mentre io guardo la tua pace, etc.) nella gran guerra dell’esistenza.
La morte stessa, nella dolce metafora della Sera, non è più, come per l’Ortis, la fosca e lugubre « Distruzione divoratrice di tutte le cose » ma ci appare, in modo più vago e « romantico », di « riposato albergo », di porto sereno ove approdare dopo la travagliosa esistenza, della fatal quiete, della fine del ciclo vitale stabilita dal fato per tutte le creature, talvolta anche agognata come atta a porre fine ai tormenti di un animo oppresso da tante angosce.
Nel sonetto i termini che rimandano all’area semantica del compaiono solo negli ultimi quattro versi, ma i verbi neutralizzano i valori negativi dei sostantivi che qualificano l’io lirico: il reo tempo fugge (v. l0) trascinandosi le torme delle cure (che van con lui,v.ll), mentre lo spirto guerrier, di solito ruggente, dorme.
La consumata sapienza poetica del F. ha portato ad ottenere in questo sonetto, e poi in seguito nei Sepolcri, effetti notevolissimi con l’uso accorto della dieresi al fine di prolungare i suoni ed accrescere la durata delle immagini.
Le più importanti figure retoriche della poesia sono: l’ossimoro, l’enjambement e l’antitesi.
L’ossimoro del primo verso «fatal quiete» e il «Nulla eterno» del verso 10.
L’embejement dei versi 5-6 (inquiete/ tenebre e lunghe).
L’antitesi si trova negli ultimi due versi «e mentre io guardo la tua pace, dorme / quello spirto guerriero ch’entro mi rugge».
Due sono infatti le grandi sezioni del sonetto, armonicamente identificate dagli elementi sia della metrica (le due quartine, le due terzine) sia della sin¬tassi (il testo è scandito da due lunghi periodi, separati dal punto fermo dell’ottavo verso).
Simmetrica è pure la disposizione di verbi e frasi. Nel componimento abbiamo in tutto 7 proposizioni principali e 14 verbi (esattamente come 14 sono i versi del sonetto).
Di quei 14, ben 8 sono verbi di moto: i primi 4 (da vieni a scendi) ci danno l’idea dell’arrivare, gli altri 4 (da va¬gar a van) l’idea del ripartire, con forte impulso dinamico.
Tanta coesione formale serve a meglio rimarcare il messaggio ideologico.
Il prologo introduttivo (vv, 1-3), che giunge fino all’esclamazione «o Sera!», introduce i due termini fondamentali del paragone: la sera e la morte (quest’ultima designata dalla perifrasi «fatal quiete»).
La prima sequenza (vv. 3-8), che coincide come detto col primo grande periodo strofico, ha un carattere descrittivo, sviluppando la contemplazione del primo dei due termini, la «sera» (estiva e invernale, ovvero classica e romantica).
Il secondo grande periodo strofico (vv. 9-14) sposta l’attenzione sul secondo elemento, ovvero la morte.
Nei primi otto versi, inoltre, si registra la preponderanza di voci con connotazioni affettive (cara, corteggian liete, sereni, invocata, secrete, soavemente); al contrario i vv.9-10 sono emotivamente neutri, mentre gli ultimi quattro sono ricchi di termini che indicano sofferenza, travaglio, inquietudine {reo, torme, cure, strugge, guerrier, rugge), bilanciati solamente da pace e dorme.
La sera quindi, sia portatrice di bei tramonti estivi, accompagnata da venti leggeri, sia foriera di atmosfere invernali, tenebrose e nevose, dal Foscolo è sempre desiderata, perché essa lo invita a meditare sulle più intime tematiche del proprio vivere.
La sera ha il potere di placare l’animo ribelle e guerriero che lo agita e di donargli un momento di riposo, liberandolo dalle tensioni e dalla tristezza della giornata.
La morte distanzia l’ opprimente realtà delle cure (v. 12) (è questo l’argomento delle terzine) e la sera, immagine della morte, svolge una funzione catartica, liberando il poeta dalle passioni che lo inquietano.
L’io-poeta è sempre assillato dalle cure e sollevato dal calar della sera, ma è anche tormentato dalla consapevolezza dell’inconciliabilità fra aspirazione alla quiete e condizioni reali dell’esistenza: solo la morte può spegnere la tensione e, nel suo sovrapporsi figurativamente alla sera, il poeta la invoca perciò come cara.
Il poeta non vorrebbe continuare a vivere questo «reo tempo» che lo travolge con le «torme/delle cu¬re», ma neppure riesce, serenamente, ad entrare nella «quiete» della morte e la guarda come possibile meta solo nel momento in cui dorme lo spirto guerrier che rugge dentro di lui, spingendolo a combattere le avversità.
E quel verbo, dorme, esprime il perpetuo dissidio interiore del Poeta, in quanto al mattino si ridesta lo spirto guerrier e la battaglia ricomincia.
La poesia esprime pessimismo e preoccupazione nel poeta, intristito dalle avversità del «reo tempo», e la volontà di allontanarsi dal presente per immergersi in una dimensione quasi fuori del tempo, nell’agognata morte, che è totale annullamento ma anche pace, in cui si placa il tumulto interiore. .
Egli osserva il silenzio e la pace della notte, comparandolo con la sua anima perennemente travagliata, e avverte dentro di sé attimi di smarrimento, ma anche di dolcezza e di sospirato riposo.