Il tema lir. 9: G. D'Annunzio. O falce di luna calante

 
G. D’Annunzio : O falce di luna calante

O falce di luna calante

che brilli su l’acque deserte,

o falce d’argento, qual mèsse di sogni

ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!

Aneliti brevi di foglie,

sospiri di fiori dal bosco

esalano al mare: non canto non grido

non suono pe ‘l vasto silenzio va.

Oppresso d’amor, di piacere,

il popol de’ vivi s’addorme…

O falce calante, qual mèsse di sogni

ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!

(da: Canto novo, Ed. Mondadori).

Tre quartine (strofe di 4 versi), ognuna costituita da 2 novenari e due dodecasillabi (doppi senari), l’ultimo dei quali è sempre tronco. Lo schema è libero.

Formalmente è una piccola ode che per l’assenza di rima richiama la metrica barbara.

Nella I strofa predomina il senso visivo (il brillio argentato sul mare) mentre nella II il senso uditivo (le foglie che anelano e i fiori che esalano sospiri).

Enjambement ai vv.3-4, 7-8, 11-12 e numerose le allitterazioni, ad esempio della l (al v.1: o falce di luna calante) e della s e f soprattutto ai vv.5-9.

Questa breve ode, che fa parte della raccolta Canto novo, appartiene alla produzione giovanile di D’Annunzio (il poeta ha 19 anni) ed è una delle sue più famose e celebrate liriche “notturne”.

La poesia descrive una notte quieta in cui il mondo gli appare immobile sotto il chiarore dell’esile spicchio dell’ultimo quarto di luna.

Non si ode alcun rumore; impercettibilmente solo le piante ed i fiori sembrano muoversi, mentre gli esseri viventi, affaticati dal piacere, dormono un sonno profondo.

In pochi versi D’Annunzio riesce a descrivere in maniera suggestiva e raffinata questo tema notturno, giocando sulla musicalità dei versi e sulla sensualità delle immagini.

La natura viene umanizzata ed il poeta ne esalta gli aspetti più languidi rivelando il carattere decadente e sensuale della sua ispirazione.

Anche in questa poesia D’Annunzio gioca con suoni e parole, tanto che la gioia e il piacere, nati dall’ascolto della natura, si trasformano lentamente in musica.

La musicalità degli “aneliti brevi di foglie” e dei “sospiri di fiori”, provenienti dal bosco, coinvolge il poeta che a poco a poco sensibilizza il proprio udito ad ogni singolo rumore e persino all’ascolto del silenzio che lo avvolge.

Nei versi “O falce d’argento, qual messe di sogni ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!”, D’Annunzio si rivolge alla luna che, velata di prezioso argento, richiama i riverberi che il mare sottostante assume grazie alla luce lunare.

Con il termine “ondeggia” richiama, invece, il lento ondeggiare, il leggero tremolìo del riflesso della “falce di luna” sulla superficie dell’acqua.

“Mite chiarore” è la prima sinestesia di questa poesia, che contrappone una sensazione tattile ad una visiva, mentre “aneliti brevi”, sospiri brevi, è la contrapposizione di una sensazione uditiva ad una visiva.

Incontriamo poi un’altra importante sinestesia,”vasto silenzio”, dove l’aggettivo “vasto”, che evoca una sensazione visiva, viene contrapposto al sostantivo “silenzio”, che evoca una sensazione uditiva.

In questa poesia è molto evidente l’esaltazione dannunziana della bellezza, del piacere.

Il poeta è capace di vedere nella luna una creatura luminosa e bellissima; è capace altresì di percepire il movimento delle foglie e dei fiori mossi dal vento, una musica composta da lievi sospiri; è quindi capace di trasformare la notte in un momento magico, in cui tutto si abbandona al piacere di vivere.

Mentre gli uomini si addormentano e sognano, travolti dall’amore e dalla gioia, la natura è percorsa da fremiti e canta.

La gioia, il piacere e l’amore, anche per la natura e per la vita stessa, rendono il paesaggio quasi fiabesco.

La natura e tutti gli esseri viventi sembrano così unirsi e prendere parte, sotto la luminosa luce lunare, ad una meravigliosa fiaba.

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