Leonardo SINISGALLI, un altro Poeta geograficamente a noi molto vicino
Brevi cenni su Leonardo Sinisgalli, un altro Poeta, come Galeazzo di Tarsia, geograficamente a noi molto vicino.
(Montemurro (PZ), 9 marzo 1908 – Roma, 31 gennaio 1981)
Leonardo Sinisgalli scrisse lui stesso , in sole tre paginette, la sua biografia per una raccolta di autoritratti di scrittori del Novecento.
Sinisgalli nacque a Montemurro (Potenza) il 9 marzo 1908, al tempo dell'Italia giolittiana, sorda alle richieste delle regioni del Sud economicamente depresse, come la Lucania, da cui l’emigrazione portava via di continuo le braccia più operose.
Già diversi zii e parenti di Leonardo erano emigrati per tentare la fortuna, o meglio per sopravvivere, nel Sud America, quando, nel 1914, anche il padre partì per New York.
Sotto l’attenzione costante ed affettuosa della madre, rimasta a capo della famiglia, Leonardo frequentò a Caserta le scuole tecniche, e poi le scuole medio-superiori a Benevento e a Napoli, dove nel 1925 conseguì la maturità.
Nel 1926 Sinisgalli lascia la terra nativa per iscriversi alla facoltà di matematica dell'Università di Roma, e così scriveva riferendosi a brevi contatti con il gruppo del prof. Fermi:
« Potevo trovarmi nel gruppo dei ragazzi che hanno aperto l'era atomica, preferii seguire i pittori e i poeti e rinunciare allo studio dei neutroni lenti e della radioattività artificiale».
Si apriva così a Sinisgalli una nuova strada: l'amicizia con Scipione e Ungaretti, le prime collaborazioni a « L'Italia Letteraria » diretta da G. B. Angioletti, le prime poesie di ispirazione lucana.
Senza interrompere gli studi universitari — conclusi nel 1934 con la laurea in ingegneria a Roma - nel 1935 compose le “18 Poesie”, che furono come una rivelazione, quando l'anno successivo l'editore Scheiwiller le presentò al pubblico.
Intanto la sua produzione poetica ebbe subito fortuna, perché già dal 1934 Ungaretti lo aveva segnalato pubblicamente con il proprio consenso e qualche anno dopo Emilio Cecchi, sull'autorevole « Corriere della Sera », accostò il suo nome a quello di Ungaretti e di Montale, e nel 1936 si aggiunse una favorevole recensione di De Robertis.
Per intendere ed apprezzare la poesia di Sinisgalli, e in particolare quella della sua prima stagione — che comprende, oltre a 18 poesie, Campi Elisi e II cacciatore indifferente, ed è tutta riassunta nel volume del 1943, Vidi le Muse —, è opportuno qui ricordare gli elementi caratterizzanti di essa , che nasce da uno slancio d’amore verso la vita, verso le cose create, capace di suggerire un amore di quelle cose, che è anche ansia di penetrarle, di attraversarle.
Il momento della sua poetica creazione è un atto di decantazione, è come “gelare una fiamma”: « Bisogna evitare per quanto è possibile l’infiammazione, portare la nostra ispirazione a un clima di luce e di calore latente, quello che riesce a salvare, a tener vivi, sotto strati di polvere, i fossili e le mummie » (Quaderno di geometria, in Furor mathematicus, pp. 12-13).
È come lo sgomento provocato da una rivelazione inattesa: il « gran vuoto necessario alla grazia, il gran vuoto che soffoca le esistenze meschine ed è necessario più del ciclo alla nascita della poesia » (Horror vacui, p. 14).
Nelle liriche scritte da Sinisgalli fra il 1931 e il '35, fra cui particolarmente significative le 18 poesie, qua e là non è difficile avvertire qualche suggestione di Ungaretti o Quasimodo, e più genericamente taluni riflessi della « poetica dell’ermetismo», tra i quali: la rottura degli schemi metrici tradizionali, l’urgenza di scavo nella parola, assunta nei suoi valori icastici e suggestivi come un piccolo universo autosufficiente, il bisogno di rarefare e insieme costringere l’emozione nel fulmineo scatto analogico.
Riemergono così nei versi vivide le sue memorie: la scuola, i compagni, il maestro, i parenti, la vita in collegio, gli animali, la campagna, le feste paesane; e poi i lunghi inverni nel Nord, le grandi città viste per lo più ostili, la vita in camere d’affitto.
Un Sinisgalli in apparenza irretito — come è stato detto — dai sortilegi di tre Muse, Curiosità, Diletto, Gioco, ma teso, in realtà, a proiettare l’amara vena del suo sentimento esistenziale, lo struggimento del vuoto nonché l’incanto della pena che si fa liberazione.
Egli è immerso nell’ermetismo, ma, paradossalmente, diviene poeta solo quando se ne distacca: la forma ermetica è elaborata spesso con coerenza; ma non sono riscontrabili in Sinisgalli né la concentrazione espressiva né il trasferimento del palpito interiore nelle impressioni, che rappresentano i caratteri fondamentali dello stile ermetico.
Fragile e mutevole è il tessuto della sua poesia, con il bisogno di attenuazione delle immagini, con la tendenza a costringere l’emozione a un momento fulminante, ma anche con la raffinatezza del linguaggio, ricco di nessi logici ed intrecci semantici, attraverso una personale modulazione del verso che rievoca lontani ricordi.
Talvolta la sua poesia diviene descrittiva, ma sempre suggestionata dall’influsso dell’ermetismo, per cui spesso e volentieri Sinisgalli riesce a coniugare due elementi per lo più inconciliabili, la descrizione e la trama stringata, come possiamo intravedere in una delle sue poesie più apprezzate:
Monete rosse
I fanciulli battono le monete. rosse
contro il muro. (Cadono distanti
per terra con dolce rumore.) Gridano
a squarciagola in un fuoco di guerra.
Si scambiano motti superbi
e dolcissime ingiurie. La sera
incendia le fronti, infuria i capelli.
Sulle selci calda è come sangue.
Il piazzale torna calmo.
Una moneta battuta si posa
Vicino all'altra alla misura di un palmo.
Il fanciullo preme sulla terra
la sua mano vittoriosa.
<<…….È questa anche la stagione della sua migliore produzione poetica e letteraria, dai saggi di Furor Mathematicus alle poesie de La vigna vecchia, dove fa vivere la nostalgia della sua Lucania: «Terra di mamme grasse, di padri scuri / e lustri come scheletri, piena di galli / e di cani, di boschi e di calcare, terra / magra dove il grano cresce a stento» [1]
………….<
Questo avviene già nella prima delle sue 18 Poesie, bellissima, dove è probabile cogliere «Il punto di partenza dell’opera di Sinisgalli le cui prime prove coincidono - non soltanto cronologicamente ma anche per quel che riguarda temi e linguaggio - con quelle del primo De Libero, il poeta amico:[2]
I cani allentano la corsa
tra i pali arsi delle viti,
così bassa è Orione
queste sere miti di fine d'anno.
Oscilla il carro d'oro a questa svolta.
Tu guardi l'alba della luna rossa
nell'uliveta. La collina è scossa
da un rumore di frantoio.
Fresca è la ghiaia sui passi tuoi
la ruota non la spezza.
Perduta alle spalle la fanciullezza
si fa più lontana, ombrosa
cieca nella polvere.
Qui la terra che con l’infanzia è uno dei miti [3] fondamentali della lirica sinisgalliana (miti «così strettamente legati, da condizionarsi reciprocamente al punto che il recupero della fanciullezza, attraverso la memoria, riesce a tingere di roseo anche la presenza dell’arida terra natia»[4]) fa qui la sua prima apparizione poetica con le sue "stagioni" (così bassa è Orione), le immagini della vitalità animale (I cani allentano la corsa), gli alberi (la vite e l’uliveta), il frantoio, la ghiaia, la polvere, la fanciullezza stessa: che sono gli oggetti-simbolo più evidenti della lirica analizzata.
Se è vero che la materia poetica del primo Sinisgalli non può essere totalmente ridotta al simbolismo, anche per l’assenza o quasi di ermetismo, tuttavia ugualmente non è possibile ridurre la lirica del poeta lucano nei termini di un realismo assoluto (non a caso il Contini per caratterizzare il particolare realismo di Sinisgalli ha parlato di un "descrittivismo trascendentale") ma occorre utilizzare criteri più moderni e complessi, fino ad applicare nei casi necessari i metodi dell’analisi simbolica. Ciò si rende particolarmente necessario per la lettura di quelle parti dell’opera poetica del Nostro nella quale compaiono importanti oggetti-simbolo.
Che questo non sia un modo di procedere arbitrario è confermato dallo stesso Sinisgalli che ha parlato di Simbolismo e di lettura simbolica della realtà: «la natura entra placidamente nelle nostre capsule, nelle parole, nei simboli, nelle lettere e nelle cifre»[5].
Qui se ne farà solo un accenno, soprattutto col proposito di fornire ai lettori alcune fondamentali ed essenziali chiavi di lettura dell’opera sinisgalliana.
Emilio Cecchi, tra i critici della stagione ermetica particolarmente sensibile a cogliere i dati della nuova poesia, nel "Corriere della Sera ", lo indicava, accanto a Ungaretti e Montale, inserito della poesia dell'ermetismo, con i caratteri tipici della stessa, con tanto di urgenze di scavo nella parola, con il bisogno di rarefazione delle immagini, con la tendenza a costringere l'emozione a un momento fulminante, ma anche con raffinatezza del linguaggio coi nessi logici e gli intrecci semantici mediante una modulazione del verso che appare priva di compiacimento e di appagamento e giocata molto sul ricordo.
Egli ha riconosciuto nella Vigna vecchia (1952) la componente simbolica sinisgalliana: «Nel panorama della memoria i versi della vigna (...) si dispongono con straordinario risalto. Anche qui, come la favilla della selce, la poesia scaturisce dall’urto con le cose (oggetti), nature vive, nature morte, poesia (...), la capra inquieta, lo scorpione, la civetta sulla neve, lo spauracchio sul grano che imbruna, la cetonia legata al filo, “il grido arabo delle rondini”, ecc. ecc., sono ad un tempo sentiti indissolubilmente, come grezza realtà e come “simboli di primordiali religioni”, indecifrabili e perdute»[6].
Negli ultimi anni della sua vita, morirà a Roma il 31 gennaio 1981, ritorna all’antica passione per l’arte figurativa, anche se continua a scrivere.
Un numero della rivista «Il Giannone», diretta da Antonio Motta, è dedicato proprio all’ ultimo Sinisgalli e contiene lettere e poesie d’amore inedite, suoi disegni a china e vari scritti.
<<Leonardo Sinisgalli ha avuto un ruolo speciale nella cultura italiana perché ha saputo superare la dicotomia fra letteratura e scienza ed è stato, come ha scritto Giuseppe Pontiggia, un poeta non elegiaco, paragonabile a Verlaine, Rimbaud e Mallarmé.>>[7]
I libri di poesia più importanti di Sinisgalli sono:
Vidi le muse, che riunisce le poesie composte dal 1931 al 1942, seguono I nuovi Campi Elisi, scritti tra il 1942 e il 1946; e Vidi le muse e I nuovi Campi Elisi sono stati in un secondo tempo raccolti nel volume Poesie d'ieri (Milano, Mondadori, 1966); viene poi il volume L'età della luna (1956-62), in cui il tono della poesia è a dir vero modesto.
[1] Da ”Percorso culturale” di Mario Santoro
[2] Cfr., G. Mariani, L'orologio del Pincio, Bonacci, Roma 1981, p. 51.
[3]Il primo ad effettuare un’importante lettura tematica dell’opera sinisgalliana è stato G. Mariani (cfr. L'orologio del Pincio) ma sostanzialmente ancora di tipo romantico, affidata prevalentemente alla sua sensibilità di lettore e senza tener conto della cultura del Nostro e in particolare dell’altra anima del poeta che fu influenzato, oltre che dalle avanguardie anche dalla prima e dalla seconda stagione simbolistica.
In effetti il saggio di Mariani, straordinario ed indisponibile strumento di lettura specialmente dell'opera lirica sinisgalliana, difetta però nell’analisi culturale, in quanto non chiarisce le radici ideologiche che hanno prodotto tale opera.
[4]G. Mariani, op. cit., p. 54.
[5] L. Sinisgalli, Dissipazione in Età della luna; cit., p. 231.
[6] Di parere contrario, ma anche poco credibile, G. gramigna 1952, che pur parlando di una certa influenza dell’ultimo Sinisgalli su alcuni caratteri della nostra più recente poesia, non è disposto però a leggerla in chiave simbolica: «gli oggetti di questa poesia (oggetti dico e non simboli) pervengono tutti ad una mitologia domestica estremamente semplice e spoglia..; Sinisgalli sa di dover ridurre, per quanto possibile, l’eccitazione, la protesta all’assoluto».
[7] Russo Giovanni - Corriere della Sera (6 marzo 2008)
Monete rosse
I fanciulli battono le monete. rosse
contro il muro. (Cadono distanti
per terra con dolce rumore.) Gridano
a squarciagola in un fuoco di guerra.
Si scambiano motti superbi
e dolcissime ingiurie. La sera
incendia le fronti, infuria i capelli.
Sulle selci calda è come sangue.
Il piazzale torna calmo.
Una moneta battuta si posa
Vicino all'altra alla misura di un palmo.
Il fanciullo preme sulla terra
la sua mano vittoriosa.
<<…….È questa anche la stagione della sua migliore produzione poetica e letteraria, dai saggi di Furor Mathematicus alle poesie de La vigna vecchia, dove fa vivere la nostalgia della sua Lucania: «Terra di mamme grasse, di padri scuri / e lustri come scheletri, piena di galli / e di cani, di boschi e di calcare, terra / magra dove il grano cresce a stento»
………….<
Questo avviene già nella prima delle sue 18 Poesie, bellissima, dove è probabile cogliere «Il punto di partenza dell’opera di Sinisgalli le cui prime prove coincidono - non soltanto cronologicamente ma anche per quel che riguarda temi e linguaggio - con quelle del primo De Libero, il poeta amico:
I cani allentano la corsa
tra i pali arsi delle viti,
così bassa è Orione
queste sere miti di fine d'anno.
Oscilla il carro d'oro a questa svolta.
Tu guardi l'alba della luna rossa
nell'uliveta. La collina è scossa
da un rumore di frantoio.
Fresca è la ghiaia sui passi tuoi
la ruota non la spezza.
Perduta alle spalle la fanciullezza
si fa più lontana, ombrosa
cieca nella polvere.
Qui la terra che con l’infanzia è uno dei miti fondamentali della lirica sinisgalliana (miti «così strettamente legati, da condizionarsi reciprocamente al punto che il recupero della fanciullezza, attraverso la memoria, riesce a tingere di roseo anche la presenza dell’arida terra natia» ) fa qui la sua prima apparizione poetica con le sue "stagioni" (così bassa è Orione), le immagini della vitalità animale (I cani allentano la corsa), gli alberi (la vite e l’uliveta), il frantoio, la ghiaia, la polvere, la fanciullezza stessa: che sono gli oggetti-simbolo più evidenti della lirica analizzata.
Se è vero che la materia poetica del primo Sinisgalli non può essere totalmente ridotta al simbolismo, anche per l’assenza o quasi di ermetismo, tuttavia ugualmente non è possibile ridurre la lirica del poeta lucano nei termini di un realismo assoluto (non a caso il Contini per caratterizzare il particolare realismo di Sinisgalli ha parlato di un "descrittivismo trascendentale") ma occorre utilizzare criteri più moderni e complessi, fino ad applicare nei casi necessari i metodi dell’analisi simbolica. Ciò si rende particolarmente necessario per la lettura di quelle parti dell’opera poetica del Nostro nella quale compaiono importanti oggetti-simbolo.
Che questo non sia un modo di procedere arbitrario è confermato dallo stesso Sinisgalli che ha parlato di Simbolismo e di lettura simbolica della realtà: «la natura entra placidamente nelle nostre capsule, nelle parole, nei simboli, nelle lettere e nelle cifre» .
Qui se ne farà solo un accenno, soprattutto col proposito di fornire ai lettori alcune fondamentali ed essenziali chiavi di lettura dell’opera sinisgalliana.
Emilio Cecchi, tra i critici della stagione ermetica particolarmente sensibile a cogliere i dati della nuova poesia, nel "Corriere della Sera ", lo indicava, accanto a Ungaretti e Montale, inserito della poesia dell'ermetismo, con i caratteri tipici della stessa, con tanto di urgenze di scavo nella parola, con il bisogno di rarefazione delle immagini, con la tendenza a costringere l'emozione a un momento fulminante, ma anche con raffinatezza del linguaggio coi nessi logici e gli intrecci semantici mediante una modulazione del verso che appare priva di compiacimento e di appagamento e giocata molto sul ricordo.
Egli ha riconosciuto nella Vigna vecchia (1952) la componente simbolica sinisgalliana: «Nel panorama della memoria i versi della vigna (...) si dispongono con straordinario risalto. Anche qui, come la favilla della selce, la poesia scaturisce dall’urto con le cose (oggetti), nature vive, nature morte, poesia (...), la capra inquieta, lo scorpione, la civetta sulla neve, lo spauracchio sul grano che imbruna, la cetonia legata al filo, “il grido arabo delle rondini”, ecc. ecc., sono ad un tempo sentiti indissolubilmente, come grezza realtà e come “simboli di primordiali religioni”, indecifrabili e perdute» .
Negli ultimi anni della sua vita, morirà a Roma il 31 gennaio 1981, ritorna all’antica passione per l’arte figurativa, anche se continua a scrivere.
Un numero della rivista «Il Giannone», diretta da Antonio Motta, è dedicato proprio all’ ultimo Sinisgalli e contiene lettere e poesie d’amore inedite, suoi disegni a china e vari scritti.
I libri di poesia più importanti di Sinisgalli sono:
Vidi le muse, che riunisce le poesie composte dal 1931 al 1942, seguono I nuovi Campi Elisi, scritti tra il 1942 e il 1946; e Vidi le muse e I nuovi Campi Elisi sono stati in un secondo tempo raccolti nel volume Poesie d'ieri (Milano, Mondadori, 1966); viene poi il volume L'età della luna (1956-62), in cui il tono della poesia è a dir vero modesto.
L'opera più importante di Sinisgalli sono sicuramente “I nuovi Campi Elisi”: qui Egli si allontana dalla moda ermetica, e s’intrecciano in lui accento intimo, tono realistico ed espressione scarna e forte, che nutrono una poesia schiet¬ta e personale.
Il migliore componimento di questa raccolta è Lucania, dove la vita e le asprezze della sua terra d’origine sono avvolte da un magico alone:
Lucania
Al pellegrino che s’affaccia ai suoi valichi,
a chi scende per la stretta degli Alburni
o fa il cammino delle pecore lungo le coste della Serra,
al nibbio che rompe il filo dell’orizzonte
con un rettile negli artigli, all’emigrante, al soldato,
a chi torna dai santuari o dall’esilio, a chi dorme
negli ovili, al pastore, al mezzadro, al mercante
la Lucania apre le sue lande,
le sue valli dove i fiumi scorrono lenti
come fiumi di polvere.
Lo spirito del silenzio sta nei luoghi
della mia dolorosa provincia. Da Elea a Metaponto,
sofistico e d’oro, problematico e sottile,
divora l’olio nelle chiese, mette il cappuccio
nelle case, fa il monaco nelle grotte, cresce
con l’erba alle soglie dei vecchi paesi franati.
Il sole sbieco sui lauri, il sole buono
con le grandi corna, l’odorosa palato,
il sole avido di bambini, eccolo per le piazze!
Ha il passo pigro del bue, e sull’erba
sulle selci lascia le grandi chiazze zeppe di larve.
Terra di mamme grasse, di padri scuri
e lustri come scheletri, piena di galli
e di cani, di boschi e di calcare, terra
magra dove il grano cresce a stento
(carosella, granturco, granofino)
e il vino non è squillante
(menta dell’Agri, basilico del Basento)
e l’uliva ha il gusto dell’oblio,
il sapore del pianto.
In un’aria vulcanica, fortemente accensibile,
gli alberi respirano con un palpito inconsueto;
le querce ingrossano i ceppi con la sostanza del cielo.
Cumuli di macerie restano intatte per secoli:
nessuno rivolta una pietra per non inorridire.
Sotto ogni pietra, dico, ha l’inferno il suo ombelico.
Solo un ragazzo può sporgersi agli orli
dell’abisso per cogliere il nettare
tra i cespi brulicanti di zanzare e di tarantole.
Io tornerò vivo sotto le tue piogge rosse.
tornerò senza colpe a battere il tamburo,
a legare il mulo alla porta,
a raccogliere lumache negli orti.
Udrò fumare le stoppie, le sterpaie,
le fosse, udrò il merlo cantare
sotto i letti, udrò la gatta
cantare sui sepolcri?
Ho avvertito, leggendo alcune sue poesie, la profonda vicinanza tra questo nostro lembo di terra di Calabria e la parte, con noi confinante, di Basilicata ( o Lucania): Paesaggi, colture, sapori, odori, la stessa “civiltà contadina”.
Inserisco, a mia scelta, altre poesie, sperando che i lettori vorranno, vieppiù incuriositi, approfondire l’opera di questo Poeta:
Padre mio
Padre mio che sei
sulla loggia dopo cena
e sonnecchi. Ti scuoti
al rumore dell' acqua
che dal barile è calata nei secchi.
Anna innaffia la terra
delle fucsie materne.
Poi con la mano ti scaccia
i moscerini dalla faccia.
Camera di ragazzo
Mi ricordo ancora
i versi che scrissi
alla pigra passiflora
quando il cuore tremava
al lamento notturno degli infissi.
Lungo l’inverno intero
coi piedi sulla brace
e la testa di ghiaccio.
Più pesante di fuori
era la neve io dentro
spegnevo le candele
e coi tizzi lucenti stavo solo a far niente.
Eri dritta e felice
Eri dritta e felice
sulla porta che il vento
apriva alla campagna.
Intrisa di luce
stavi ferma nel giorno,
al tempo delle vespe d'oro
quando al sambuco
si fanno dolci le midolla.
Allora s’andava scalzi
per i fossi, si misurava l’ardore
del sole dalle impronte
lasciate sui sassi.
Come si fa
Che cosa si può cavare da uno sterpo?
Due legnetti in croce, una gruccia
per la fionda, un uccello a due becchi
per il giuoco delle mazze o uno zufolo
e una canna per sparare alle mosche.
A mio Padre
L’uomo rimasto solo
a tarda sera nella vigna
scuote le rape nella vasca,
sbuca dal viottolo con la paglia
macchiata di verderame.
L’uomo che porta così fresco
terriccio sulle scarpe, odore
di fresca sera nei vestiti
si ferma a una fonte, parla
con l’ortolano che sradica i finocchi.
E’ un uomo, un piccolo uomo
che io guardo di lontano:
è un punto vivo all’orizzonte.
Forse la sua pupilla
si accende questa sera
accanto alla peschiera
dove si bagna la fronte.
Grattacielo -
Quando rincasavo la sera
c’erano due lumi rossi
agli angoli dello sterrato,
In quel fosso è nato
il grattacielo di Milano,
un piccolo segno di vittoria
per noi apostoli di cànoni nuovi
del nuovo vangelo,
Me lo trovo impagliato
di fronte all’Albergo Doria
come se io l’avessi innaffiato .
Mi fa ombra sul viso
all’angolo del marciapiede,
dove la fioraia contadina
portava un tempo edelweiss
e narcisi.
Voi mi chiamate
Voi mi chiamate verso la luna
dagli abbaini di Bra.
«Siedi anche tu, bevi e ridi»
tra pipe e tarocchi e le scure
bottiglie di barbera.
Dietro le spalle i sonagli delle corti,
il gluglu dei tacchini,
la dolce tromba distrettuale.
Allungo il braccio a te Cordero
tra i fantasmi in subbuglio
nella notte cisalpina.
L’avete vista anche voi
la grande luna del 16 luglio?
Ultimo aggiornamento (Giovedì 24 Settembre 2015 10:09)